Una moneta, un francobollo e poco altro. Sono stati questi i riconoscimenti per gli operatori sanitari e, soprattutto per gli infermieri (la categoria professionale più colpita dalla Covid), a seguito della pandemia globale che ha evidenziato le carenze croniche e insostenibili del nostro SSN.
Stanchi di tante chiacchiere
Nessun adeguamento economico e contrattuale (siamo tra i meno pagati d’Europa). Nessuna promessa realmente mantenuta da parte dei politici che, con finte lacrime agli occhi, lodavano gli ‘eroi’ e si schieravano al loro fianco con fiumi di tanto stucchevoli quanto inutili chiacchiere.
E intanto i nostri ospedali continuano a essere terribilmente carenti di infermieri che, con ritmi di lavoro insostenibili, malpagati, sfruttati, insultati, malmenati e spremuti come limoni, stanchi e delusi per una crescita che non arriva mai, in molti casi fuggono a gambe levate dalla professione. Per fare altro.
Gli infermieri si licenziano
È di questi giorni la notizia che numerosi infermieri sardi si stanno licenziando dagli ospedali per cercare nuove opportunità lavorative in altri settori o emigrando all’estero. Come spiegato da Andrea Farris, dirigente provinciale Nursing Up, intervistato da Il Tamburino Sardo, tra le cause vi è “Sicuramente lo scarso riconoscimento economico e professionale”.
Già, perché “Un infermiere oggi guadagna 1.500 euro al mese, ma gli obblighi di legge gli impongono delle spese come l’assicurazione professionale, l’iscrizione all’ordine e la formazione obbligatoria che incidono fino a 3000 euro l’anno.
Immaginiamo un infermiere che, dopo la laurea ha conseguito uno o due master universitari, si ritrova a percepire uno stipendio reale di 1.250/1.300 euro, mentre nel resto d’Europa lo stipendio medio è di 2.500 euro netti” sottolinea il dirigente.
Il vincolo di esclusività
Che vuole ricordare anche come il vincolo di esclusività, qui da noi, limiti non poco la professionalità e le entrate dei professionisti: “mentre nel resto d’Europa l’infermiere può lavorare anche in libera professione, come già avviene in Italia per i medici, qui da noi è assolutamente vietato impedendo di fatto al professionista di poter migliorare la propria situazione economica”.
E quindi si scappa: “È fisiologico a queste condizioni che sempre più professionisti scelgano di cercare un lavoro, magari meno qualificato ma a parità di salario, e di lavorare nel tempo libero come infermieri a partita iva oppure, sopratutto i più giovani, scegliere la strada dell’estero. Non è un caso se in Italia mancano 70.000 infermieri e ben 30.000 colleghi lavorino comunque all’estero, lontano da casa.”
La questione Covid
D’altra parte, il rischio di contrarre il Coronavirus è un altro deterrente negativo: “Secondo i dati raccolti dal nostro sindacato, nel solo mese di agosto 2021 in Italia sono stati contagiati 1.800 infermieri. È chiaro che ogni sera quando un padre di famiglia torna a casa dai figli rifletta se sia il caso di esporli a questo rischio per 1300 euro. In più tanti colleghi che lavorano nei reparti Covid sono stanchi di vivere separati dalle famiglie in case in affitto per evitare di contagiarli.”
Le soluzioni
Come risolvere la situazione? Beh, nei soliti modi. Inutilmente spiegati, invocati, urlati al vento da diverse parti in questi anni: “Sicuramente un salario adeguato alle responsabilità e ai rischi e nella media europea. Questo permetterebbe anche il ritorno in patria di circa 20.000 colleghi.”
Altresì, “la rimozione del vincolo di esclusività per poter svolgere la libera professione e un comparto separato di contrattazione. Infatti attualmente il contratto degli infermieri è lo stesso di amministrativi, ausiliari, idraulici etc, che pur svolgendo professioni fondamentali per il Sistema Sanitario Nazionali hanno delle peculiarità come la turnistica e l’organizzazione del lavoro assolutamente diverse e spesso in antitesi con quelle dell’infermiere.”
Autore: Alessio Biondino
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