“Infermieri italiani? In 4 anni crescita zero o quasi”


È una «crescita zero o quasi» quella che, negli ultimi quattro anni, nonostante le terribili carenze evidenziate dalla pandemia, ha interessato il numero di infermieri italiani. Di fronte ai dati ufficiali del personale infermieristico dipendente del SSN forniti ogni anno dal Ministero della Salute, c’è da rabbrividire: erano 256.429 nel 2019, 264.686 nel 2020, 264.768 nel 2021 e 268.013 nel 2022.


Tradotto: rispetto al reale fabbisogno di professionisti sanitari della popolazione italiana, sempre maggiore, non c’è affatto quel picco di crescita di professionisti dell’assistenza di cui avremmo bisogno. E le cause, lo sappiamo, vanno ricercate nella scarsa attrattività che oramai attanaglia la professione infermieristica e che nemmeno la certezza di trovare in tempi immediati un’occupazione riesce più a compensare.


I giovani, infatti, non scelgono più nemmeno sotto tortura un percorso universitario che, nella migliore delle ipotesi, li porta a diventare professionisti scarsamente riconosciuti, malpagati, costantemente sotto stress (a causa dei turni e della necessità di compensare le molte carenze) e quotidianamente in trincea a prendere botte.


Marco Ceccarelli, Segretario Nazionale del Coina (Coordinamento Infermieristico Autonomo) ha be pochi dubbi: «Tutto questo equivale a dire che tra gli inevitabili pensionamenti, da una parte, quindi le uscite dei professionisti che terminano il proprio percorso lavorativo, e i nuovi laureati in netto calo rispetto al passato, ma soprattutto tra fughe all’estero e dimissioni volontarie, ma soprattutto tra concorsi che vanno per la maggior parte deserti per le offerte economiche decisamente poco soddisfacenti, e alla luce di una politica, nazionale e regionale, che non spinge affatto sull’acceleratore delle assunzioni, come dovrebbe essere e come i sindacati si aspettano, e cerca strade traverse e tortuose che non aiutano la stabilità del sistema (vedi il piano di assunzione di professionisti stranieri e ancora la ricerca di figure surrogate come il caso dei famosi Super Oss del Veneto), il nostro SSN, per quanto riguarda la carenza degli infermieri, che rappresenta la piaga numero uno da risolvere, non ha compiuto affatto passi in avanti negli ultimi 4 anni!


È evidente che siamo nella condizione di dover denunciare nuovamente le politiche fallimentari, sia quella nazionale che quelle regionali, in relazione ad un risanamento della carenza infermieristica che di fatto non sta avvenendo e che non sembra affatto destinato a delinearsi. Dove sono i capillari piani di assunzione, da Nord a Sud, finalizzati a fornire nuove dotazioni agli organici?

Dove è quel massiccio investimento, nelle nostre risorse umane, che il Governo osa definire unico, asserendo che nessun altro esecutivo, prima di questo, aveva investito tanto negli uomini e nelle donne della sanità? Dove sono gli abbattimenti dei tetti di spesa e soprattutto dove sono le linee guida per ridurre le liste di attesa delle nostre realtà sanitarie? Ma soprattutto dove è quella valorizzazione economica e contrattuale che i professionisti dell’area non medica attendono legittimamente da tempo?


Se oggi siamo alle prese con una “crescita zero” del Sistema Salute, è evidente che non andremo lontano, e che lo squilibrio che si è creato tra le uscite dei professionisti e un ricambio generazionale per lo più assente, ci condurranno inevitabilmente verso una voragine di infermieri che si tradurrà, dai qui ai prossimi tre anni, in una perdita del 30% di professionisti. Possiamo davvero permetterci tutto questo alla luce delle nuove sfide da vincere?».

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Alessio Biondino

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