Infermieri militari e Covid-19: tutta la Sanità militare in prima linea ma con criterio

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In questo momento di crisi dovuto al Sars-CoV-2 che interessa l’Italia ed in primo luogo alcune regioni del nord del Paese occorre mettere in campo tutte le risorse che si hanno a disposizione. Le Forze Armate (FF. AA.) sono intervenute con strutture, infermieri, medici, tecnici sanitari di radiologia medica e personale di supporto rispondendo alla quarta missione che prevede il loro impiego in caso di calamità che possano interessare la Nazione. Si tratta di un intervento dovuto.

Il contributo degli infermieri militari

I sanitari donne e uomini in divisa possono portare un considerevole aiuto ai colleghi che in questo momento stanno lottando in prima linea e la presenza della “divisa militare” nelle corsie e negli ambulatori contribuisce a dare forza e speranza ai pazienti in questa crisi di cui ancora non si intravede la fine. Non sono professionisti diversi dai colleghi del SSN che in questo frangente abbiamo imparato ad apprezzare come mai fino ad ora, non sono dei super esperti, sono infermieri, medici, tecnici e operatori sanitari che nel loro quotidiano, nelle loro caserme e nei loro ambulatori, si occupano perlopiù di medicina legale e di assistenza di base e che adesso scendono in campo mossi da spirito etico e professionale e si prodigano gomito a gomito con i colleghi civili.

È questo il momento di mettere a disposizione tutte le potenzialità che la Sanità militare può esprimere, forte della esperienza accumulata in tanti anni di dispiegamento in modo anche improvviso nei teatri esteri e in Italia in occasione di calamità naturali. Tutto il personale medico ed infermieristico militare deve essere coinvolto per dare il proprio contributo, sin da subito, a fianco dei colleghi che si stanno battendo per sconfiggere questo tremendo nemico.

Infermieri militari e Covid-19 pronti ad aiutare la sanità civile

In questo momento di lotta all’infezione, con i noti provvedimenti emanati con i DPCM, le FF. AA. hanno disposto l’interruzione di molteplici attività preservando un minimo di forze sanitarie tenute in servizio per assicurare la mission della difesa dei confini nazionali ed atlantici. In tutti i restanti ambiti di impiego non essenziali, la maggior parte del personale infermieristico e medico è stato posto “in servizio, a disposizione presso il proprio domicilio per causa di forza maggiore”, cioè deve rimanere a casa e tenersi prontamente reperibile per eventuali necessità.

Questo personale dovrebbe essere impiegato sin da subito in quanto la necessità c’è già, è quella di alleggerire il carico di lavoro di un sistema sanitario allo stremo delle proprie forze. Tutte le attività selettive, formative, addestrative ed operative delle FF. AA., ad eccezione di quelle indispensabili, sono state interrotte e chissà quando verranno riprese.

Tutto il personale sanitario che è stato liberato dalle attività istituzionali di elezione dovrebbe essere impiegato nella lotta all’infezione nelle zone dove ci sono le maggiori criticità. La preoccupazione dei vertici di non avere personale disponibile quando verranno riprese le attività non sussiste in quanto si ricomincerà quando tutta l’Italia si sarà ripresa e, anche se qualche infermiere o qualche medico non sarà disponibile per problemi inerenti l’infezione, una organizzazione collaudata come quella della Difesa ha tutte le capacità per trovare le migliori soluzioni per riprendere le attività necessarie al suo funzionamento.

Guida al monitoraggio in Area Critica

Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio.   A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.

a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore

15.00 €  12.00 €

La formazione degli infermieri militari

Le previsioni della durata dell’emergenza sono purtroppo lunghe, il personale sanitario militare che viene individuato per partecipare alle operazione di soccorso nelle regioni colpite deve essere avvisato con congruo anticipo per permettere una sua adeguata formazione.

Non è ancora troppo tardi per pianificare l’impiego del personale sanitario militare come hanno fatto le regioni meno colpite e che si stanno preparando all’onda del contagio: la battaglia è ancora lunga e le forze sul campo hanno bisogno di essere sostituite. Il personale deve essere avvisato e coinvolto per una sua preparazione; occorre formarlo su quello che andrà ad affrontare, quali saranno i suoi compiti che sono ben diversi rispetto a quelli svolti nelle caserme, come si dovrà muovere per operare in sicurezza.

Considerata la peculiarità dell’assistenza nell’affrontare un agente così virulento e ad alta patogenicità, occorre incentrare l’addestramento sui principi e sulle tecniche per garantire la sicurezza individuale e sulla necessità di poter essere impiegati nelle terapie intensive e sub intensive.

Occorre sin da subito addestrare il personale su come utilizzare i presidi di protezione individuale anche attraverso una parte formativa effettuata a distanza; formarlo sulle procedure di sanificazione dei mezzi e degli ambienti, sulle tecniche di vestizione e svestizione con DPI di massima protezione (lavaggio mani, mascherina, guanti, camice, visiera, occhiali, ecc.), al fine di evitare il contagio che, qualora si dovesse verificare, metterebbe a rischio il singolo professionista e le persone a lui vicine, mettendo a repentaglio la tenuta dell’intero sistema.

Una volta arrivati in prima linea, se non formati precedentemente, mancheranno i presupposti di tempo e la lucidità mentale per apprendere ed applicare al meglio le procedure necessarie per operare in sicurezza.

Una proposta per inserire i sanitari militari negli ospedali civili

Al Policlinico militare Celio, unico tra gli ospedali militari ad avere una rianimazione, il numero di infermieri e medici con competenze specialistiche di area critica acquisite in anni di impiego anche all’estero è insufficiente per le esigenze del dispositivo sanitario militare che si vuole mettere in campo. Si rende pertanto necessario ed urgente formare altri infermieri e medici reperiti da altri reparti o da enti territoriali al fine di metterli nelle condizioni di poter essere impiegati negli ospedali da campo (Role 2) con terapie intensive che sono in allestimento sul territorio lombardo, o nei due ospedali da campo in acquisizione come previsto dal D. L. per il potenziamento del servizio sanitario nazionale.

Ricorrere ad altre risorse specialistiche reperendole da altri ambiti come dai sanitari della Croce Rossa Militare, anche se liberi da servizio, vorrebbe dire depauperare gli ospedali regionali da cui questi professionisti proverrebbero e che in questo momento si devono concentrare per far funzionare i loro servizi a pieno regime; senza contare che un professionista che superi di molto il turno e sia stressato aumenta il rischio di mortalità dei pazienti dal 7 all’11 per cento.

A tale scopo, possono essere utilizzati i protocolli di intesa di training on the job in essere con la sanità civile e coinvolgere sia il personale degli ospedali militari e degli enti periferici non ancora mobilitati che quello attualmente a disposizione presso il proprio domicilio iniziando sin da subito la frequenza dei corsi che le regioni hanno previsto nei loro piani di lotta all’infezione, unitamente a un training nei reparti di rianimazione e di sub intensiva regionali. In questo modo, considerando il particolare momento di emergenza, gli infermieri e i medici neoformati potranno affiancare i colleghi esperti e perfezionare le competenze sul campo in modo da avere più teams disponibili per i Role 2 in allestimento sia per garantire le necessarie rotazioni che per sostituire le equipes in caso di quarantena.

Non mobilitare sin da subito tutte le forze e potenziare le professionalità disponibili vuol dire non poter garantire la piena autonomia dei dispositivi che si intendono dispiegare; scendere in campo senza le competenze e le capacità necessarie è un pericolo per la salute dei cittadini e si corre il rischio di non poter assicurare la continuità assistenziale nell’anello della catena assegnato.

CORONAVIRUS COVID-19

La storia ci insegna che da sempre le società umane combattono, ciclicamente, la loro guerra contro le epidemie, questo nemico astuto, insidioso, implacabile, e soprattutto, privo di emozioni e scrupoli. Eppure, le società umane hanno sempre vinto. Oggi il progresso scientifico e tecnologico sembra librarsi ad altezze vertiginose. Ma, nella guerra contro le epidemie, le armi dell’umanità sono e saranno probabilmente le stesse di quelle che avevamo a disposizione quando questo inarrestabile progresso aveva appena cominciato a svilupparsi, come nel XV secolo della Repubblica di Venezia, nell’800, nei primi anni del ’900. Oggi, è vero, la comunità internazionale può contare su un’incrementata capacità di sorveglianza epidemiologica, su una solida esperienza nella collaborazione tra Stati, su laboratori in grado di identificare i virus e fare diagnosi, su conoscenze scientifiche in continuo progresso, su servizi sanitari sempre migliori, su agenzie internazionali come l’OMS, l’ISS italiano e il CDC americano. Ma oltre alle conoscenze, ai vaccini e ai farmaci, all’organizzazione dei servizi sanitari, per affrontare con successo le epidemie è molto importante il senso di appartenenza alla comunità, la solidarietà sociale e l’aiuto reciproco fra persone. Di fronte ad una minaccia sanitaria, la fiducia nello Stato e nelle scelte delle autorità sanitarie, la consapevolezza del rischio e la solidarietà umana possono aver la meglio sull’ignoranza, l’irrazionalità, il panico, la fuga e il prevalere dell’egoismo che in tutti gli eventi epidemici della storia hanno avuto grande rilevanza.     Walter Pasiniè un esperto di sanità internazionale e di Travel Medicine. Ha diretto dal 1988 al 2008 il primo Centro Collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la Travel Medicine.

Walter Pasini | 2020 Maggioli Editore

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Infermieri militari e Covid-19: il massimo sforzo per non lasciare nessuno indietro.

La crisi sanitaria e sociale innescata dal COVID-19, una volta superata l’emergenza, deve essere per la politica e le  FF. AA. lo spunto per avviare una seria riforma della Sanità militare che sia sovrapponibile a quella del SSN. Per fare questo occorre una approfondita riflessione su come si vogliono raggiungere gli obiettivi che la Costituzione e le leggi si prefiggono ed impongono.

Serve un serio confronto per riconoscere finalmente alle professioni sanitarie militari ed in primis a quella infermieristica l’inquadramento nel ruolo direttivo di Ufficiali e realizzare l’auspicata equiordinazione con i colleghi del SSN e dell’Alleanza atlantica, in modo da poter acquisire le medesime competenze da mettere a disposizione del Paese nei momenti di necessità nel modo più efficiente ed efficace possibile.

Una cosa è certa, non si può più tergiversare sulla salute dei militari e dei cittadini; gli infermieri ed i medici con le stellette devono essere la massima espressione per competenza e capacità operativa al fine di garantire, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo, i livelli essenziale di assistenza ai cittadini in Italia e all’estero nelle missioni internazionali.

Occorre fare il massimo sforzo per non lasciare nessuno indietro; occorre farlo per i cittadini italiani che da sempre confidano nella Sanità militare.

Autore: 1° Lgt. Infermiere Antonio Gentile – Centro di Selezione e Reclutamento Nazionale dell’Esercito – Foligno (PG)

Antonio Gentile

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