Infermieri, piovono dimissioni: in Veneto 5 ospedali a rischio chiusura

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«O da qui al 2044 riusciamo a colmare la carenza di infermieri con mille assunzioni l’anno oppure, nella peggiore delle ipotesi, arriveremo al 2029 con tremila unità in meno, e allora dovremo chiudere cinque ospedali spoke». Così ha dichiarato Claudio Costa, direttore delle Risorse Umane del Sistema Sanitario Regionale del Veneto (VEDI Il Corriere), durante il convegno organizzato giovedì a Venezia dalla Regione per presentare il Piano quinquennale volto a contrastare la grave carenza di personale nelle Usl.


Sulla terribile carenza di infermieri («nei prossimi cinque anni ne avremo tremila in meno», segnala il sindacato Nursind) e di operatori sociosanitari (Oss), Costa spiega: «Le cause sono molteplici, il 47% dei nostri sanitari ha tra i 51 e i 54 anni, quindi entro il 2034 prevediamo un massiccio numero di pensionamenti. A questi si aggiungono le dimissioni improvvise, che per gli infermieri rappresentano il 54% del totale e arrivano al 67% per i medici. Tuttavia, la carenza di medici potrebbe attenuarsi grazie all’aumento degli iscritti al corso di laurea, ora senza numero chiuso. Per gli infermieri, invece, nonostante l’incremento dei posti disponibili a Scienze infermieristiche, da 1.654 a 1.850, le domande continuano a calare. Abbiamo dunque previsto un incentivo economico per gli iscritti durante il tirocinio, oltre a campagne di comunicazione digitale e promozioni della professione nelle scuole superiori».


Anche i corsi per Oss sono stati ampliati, ma la richiesta resta bassa, costringendo le Rsa a reclutare personale dall’estero, da paesi come Romania, Polonia, Perù e Sudamerica. «Noi invece stiamo raccogliendo dalle 9 Usl, dalle due Aziende ospedaliere di Padova e Verona e dallo Iov le richieste di infermieri indiani, che invieremo al Ministero della Salute— conclude Costa — il quale ne porterà in Italia diecimila».


La situazione è ulteriormente complicata dalla migrazione costante di medici e infermieri verso il settore privato, all’estero e sul territorio. Ma perché? «L’impatto del Covid sulla salute mentale dei sanitari ha spinto il 32% dei medici e il 36% degli infermieri europei a migrare verso America, Gran Bretagna, Germania e Australia — afferma Thomas Zapata dell’Oms —. Il disagio ha colpito maggiormente le donne, con un conseguente aumento di assenteismo e congedi per malattia e depressione. Sempre più giovani chiedono part-time per avere una vita privata, ma questo richiederebbe ulteriori assunzioni, non facili da realizzare: la popolazione over 65 supera ormai quella under 50. Inoltre, il lavoro in ospedale è reso difficile dall’aumento delle patologie croniche, delle liste d’attesa, dei carichi di lavoro e delle aspettative dei pazienti, che richiedono sempre più prestazioni — prosegue Zapata —. C’è un consumismo di analisi da arginare, servono solo quelle necessarie, bisogna ridurre sprechi e burocrazia. Occorre migliorare la gratificazione del personale, affidando mansioni avanzate agli infermieri, ampliando le competenze dei farmacisti e lavorando in team multidisciplinari». Questi punti sono stati recepiti dal Piano della Regione, che ha creato una cabina di regia e ha richiesto la collaborazione delle parti coinvolte.


«Abbiamo presentato il Piano a sindacati, Ordini dei Medici, rappresentanti delle professioni sanitarie, Università, operatori dell’assistenza territoriale e strutture sociosanitarie, per condividere strategie di potenziamento e mantenimento del personale — spiega Manuela Lanzarin, assessore a Sanità e Sociale —. Stiamo affrontando il problema di trovare nuovi professionisti e mantenere quelli già in servizio, in un contesto in cui la domanda di salute cambia per l’invecchiamento della popolazione e l’aumento dell’aspettativa di vita, dei non autosufficienti e dei pazienti cronici. Agiremo su più fronti: dal punto di vista economico, abbiamo stanziato 155.367.854 euro in tre anni per uniformare gli stipendi in tutte le aziende sanitarie del Veneto e garantire incentivi per chi accetta di lavorare in zone o servizi disagiati. Rivedremo inoltre l’organizzazione del lavoro, introducendo maggiore flessibilità negli orari e riducendo i carichi, concedendo opportunità di carriera e mansioni gratificanti».


Per incentivare i giovani a scegliere il servizio pubblico e mantenere quelli già presenti, il Piano prevede anche la valorizzazione delle competenze di infermieri, Oss, tecnici e altre figure sanitarie; la riduzione della rigidità di turni e orari; una piattaforma per gestire la mobilità interaziendale; uno sportello di supporto psicologico in ogni Usl per prevenire il burnout; l’impiego di amministrativi per alleggerire i sanitari della burocrazia; e un team dedicato per l’integrazione dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie a supporto del personale.

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Alessio Biondino

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