Una lettera accorata, disperata e che forse esprime al meglio la frustrazione degli infermieri italiani ai tempi della pandemia, è stata inviata da una professionista bergamasca al quotidiano online Prima Treviglio. La pubblichiamo qui per intero.
‘Non è giusto alcun aiuto’
“Ancora una volta ce l’abbiamo fatta. Per la quarta volta in due anni ce l’abbiamo fatta. E solo grazie a noi. Solo grazie alle nostre forze e al nostro senso di responsabilità. Perché dall’alto, dai troni dove sono seduti i comandanti che pretendono ubbidienza invece che collaborazione, non è giunto alcun aiuto, nonostante le nostre ripetute richieste, di giorno, di notte, per molte settimane.”
‘Lasciati soli’
“Siamo stati lasciati soli. Ci siamo sentiti rifiutati, derisi, sfruttati, traditi, accusati di non saper lavorare, di non capire. Di non capire… Chi ha capito noi quando il fine turno non era per l’ennesima volta davvero la fine del turno? Chi ha capito noi quando tante erano le lacrime e poche le energie rimaste? Chi ci ha visto lavorare con i mal di testa e i mal di schiena, le ossa rotte, i muscoli dolenti, e ne ha avuto rispetto o anche solo pietà?”
‘Stiamo affondando’
“Mayday, mayday, qui stiamo affondando, venite a salvarci! Nessuno… Abbandonati. Nessuno ci vede, nessuno ci sente. Ma non siamo venuti meno al senso del dovere e di responsabilità. Non abbiamo abbandonato i nostri pazienti. Non li abbiamo privati delle cure e delle attenzioni necessarie. Non abbiamo fatto agli altri ciò che hanno fatto a noi. Siamo ancora legati al valore e al significato che assume quella divisa, quando la indossiamo. Ci crediamo ancora.”
‘Senza diritto di parola’
“L’infermiere non ha paura del lavoro. L’infermiere è stanco di non avere le condizioni per lavorare al meglio, per curare al meglio. E’ stanco di sentirsi tradito, di sentirsi schiavo del potere aziendale, dei dirigenti di un ospedale pubblico governato come un privato, succube delle imposizioni, senza diritto di parola. Già, senza diritto di parola. Chino la testa e taccio. Io non ho diritto di parola.”
Un’infermiera della provincia di Bergamo”
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