Con noi oggi il dott. Vincenzo Faraone (in foto), infermiere specializzato in accessi vascolari, eccellenza nazionale nel campo, consigliere dell’OPI di Napoli e da qualche giorno presidente dell’Italian Vascular Access Society: il primo infermiere a ricoprire questo prestigioso incarico.
Dott. Faraone, cosa si prova ad essere il primo infermiere ad essere eletto come presidente dell’IVAS?
Momento di grande emozione e felicità, come ho detto nel momento del mio insediamento, che non vi è mai stato, nella mia lunga carriera professionale, un momento di così grande emozione e di responsabilità così elevata.
Qual è il suo prossimo obiettivo?
Fare la differenza, onorare lo statuto della nostra società cercando di motivare quanti più professionisti sanitari possibili nella tutela del patrimonio venoso dei pazienti facendo capire loro che posizionare il catetere venoso sbagliato non solo non ci consente di somministrare in modo appropriato la terapia endovenosa, ma un approccio sbagliato crea sofferenza ai pazienti, quindi il contrario di quello che abbiamo giurato di fare, il contrario di quanto scritto nei nostri codici deontologici.
Com’è nata la passione per gli accessi vascolari?
Nel lontano 1996, inizialmente, è nata come un’esigenza in quanto lavorando al centro grandi ustioni di Roma dovevo inventarmi modalità e tecniche di impianto di ogni tipo in quanto i pazienti grandi ustionati hanno pochi distretti cutanei disponibili dove poter posizionare un catetere venoso e quindi da lì l’inizio della passione verso questo ambito specialistico che a mio parere dovrebbe essere insegnato nei corsi di laurea in medicina e di infermieristica.
Qual è stato il suo percorso?
Come ho detto l’esigenza di dover posizionare cateteri venosi in situazioni estreme, in urgenza e non convenzionali, mi ha fatto ragionare sul fatto che quella modalità di impianto poteva essere migliorata. Nel 2000 inizia il mio percorso nell’ambito onco-ematologico, allora la somministrazione della chemioterapia avveniva solo ed esclusivamente con aghi metallici, qualche cannula periferica e solo quando il paziente aveva completamente esaurito le vene delle braccia veniva richiesto qualche CVC tipo PORT. Da quel momento il vero cambiamento, dissi al mio primario dell’epoca che bisognava cambiare approccio, almeno nella nostra unità operativa e che me ne sarei occupato personalmente se lui mi avesse dato fiducia. Siamo arrivati così nel 2005, quando si cominciava a parlare di questi nuovi dispositivi, cosiddetti PICC, contattai l’azienda che in quell’anno forniva i dispositivi nella nostra Azienda, organizzammo un Hospital meeting e da qual momento partì la formazione sulle tecniche di impianto e di gestione, da quel momento è stato un continuo crescere da tutti i punti di vista, crescevano i numeri, le difficoltà, anche relazionali con altri professionisti sanitari, questo ultimo aspetto mi ha fatto capire che se volevo andare avanti dovevo studiare per aumentare costantemente le mia conoscenze teoriche sulla materia degli accessi venosi. Il 2006 il mio primo congresso Nazionale a Firenze come uditore, nel 2008 il conseguimento del master in accesi venosi presso l’Università Cattolica di Roma, il 2009 il mio primo congresso come relatore fino poi ad arrivare ad oggi.
Chi è l’infermiere specialista in accessi vascolari, quali sono le sue competenze e in che ambiti può lavorare?
L’Infermiere specialista in accessi vascolari è un professionista in possesso di un master di primo livello specifico e/o di documentata esperienza sul campo sia nell’impianto che nella gestione degli accessi venosi. Opera in collaborazione con gli altri professionisti del Team e può lavorare in autonomia secondo il profilo professionale nei diversi setting di cura, sia pubblici che privati.
L’infermiere in Italia può prescrivere il posizionamento di un PICC?
Il PICC non è un farmaco per cui non necessita di prescrizione. La scelta di posizionare un PICC o un altro tipo di DAV viene fatta dall’infermiere, che è la figura professionale responsabile della modalità di somministrazione della terapia endovenosa. La scelta viene fatta in base ad una serie di valutazioni, definite proattive, quali: tipologia di farmaci da infondere, tempo di somministrazione, valutazioni cliniche del paziente, utilizzo intra o extra ospedaliero e via dicendo.
Molte aziende o strutture sanitarie sono ancora restie ad investire in un PICC team: cosa pensa le freni e – soprattutto – è una scelta saggia secondo lei?
Il motivo per cui le Aziende ospedaliere ostacolano la formazione di un Picc team o di un vascular access team è solo ignoranza. Ci sono moltissimi lavori in letteratura che spiegano in modo esaustivo quali sono i punti a favore di avere un team di personale dedicato che si occupi di questo aspetto. Faccio tre esempi: costo efficacia, appropriatezza e prevenzione delle complicanze.
Uno dei temi che ha più a cuore è la tutela del patrimonio venoso periferico dell’assistito. Cosa pensa del fatto che, ancora oggi, si abusi tanto dei cvp, causando anche lesioni e infiammazioni importanti agli assistiti? Lei, basandoti anche su quanto si evince dalla letteratura, cosa consiglia? Quali sono le best practice da seguire?
Nella realtà della pratica clinica esiste ancora un divario tra una minoranza di medici e infermieri entusiasti e dedicati agli accessi venosi e una maggioranza di medici e infermieri che hanno ancora comportamenti errati, per non dire antiquati, nelle indicazioni all’accesso venoso, nella scelta del dispositivo, nella tecnica di impianto, nella gestione. C’è molta ignoranza nelle indicazioni corrette dell’accesso centrale verso l’accesso periferico, nella scelta del dispositivo, come ad esempio l’utilizzo di cateteri in polietilene o PVC, utilizzo off-label di cateteri arteriosi. Nella tecnica di impianto, come la venipuntura centrale ‘alla cieca’, senza ecoguida; uso della radiologia come tip location (lastra del torace, fluoroscopia, etc.); fissaggio del catetere con punti. Nella gestione, medicazioni con garza e cerotto; uso di medicazioni non appropriate; antisepsi cutanea con iodopovidone; mancata disinfezione dei NFC; eparinizzazione di PICC e port; etc. Questi comportamenti errati/antiquati riconoscono varie cause: indifferenza, abitudine, ignoranza, ignoranza ‘semplice’, ignoranza associata a presupponenza (vedi effetto Dunning-Kruger), interesse economico, disinformazione da parte di colleghi che si sentono esperti o da parte delle ditte, assenza di controllo aziendale (mancanza di procedure e protocolli, mancanza di corsi di aggiornamento, assenza di team dedicati per l’accesso vascolare.
Cosa consiglia ad un infermiere che intende intraprendere questa specialità?
Di pensare bene a cosa è disposto a fare e fin dove vuole spingersi prima di iniziare. Intraprendere questa strada significa sacrificarsi, lottare contro istituzioni, colleghi, ignoranza e
presupponenza, ma soprattutto il fine deve essere uno solo il benessere del paziente.
Grazie mille, dott. Faraone.
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