Un’intervista a giovane infermiera che assiste pazienti complessi a domicilio
di Gaetano Romigi
Giovane infermiera, libera professionista, impegnata nell’assistenza domiciliare a pazienti complessi affetti da SLA. Cecilia puoi descriverci sinteticamente della sua esperienza?
E’ difficile sintetizzare una esperienza lavorativa professionale estremamente complessa ma allo stesso tempo affascinante. Si è vero mi occupo di pazienti affetti da SLA, ma anche di altre patologie cronico-degenerative, attraverso una società specializzata nell’erogazione di assistenza domiciliare integrata a pazienti che nella stragrande maggioranza dei casi non sono autosufficienti.
Si tratta di una attività che richiede molta competenza, attenzione e responsabilità. Ho seguito naturalmente dei percorsi di addestramento tecnico-pratico ed hoc e dopo un periodo di affiancamento ho potuto prendermi cura totalmente di tali persone. Molti di questi pazienti nelle fasi più gravi dipendono in tutto e per tutto dagli interventi assistenziali.
L’Infermiere si occupa prevalentemente di garantire la corretta assistenza respiratoria a soggetti spesso tracheostomizzati, ventilati con tecniche invasive o non invasive, ad assicurare l’alimentazione che quasi sempre è artificiale (enterale o parenterale), a prevenire le principali complicanze attraverso la mobilizzazione attiva o passiva, ad eseguire la somministrazione delle terapie prescritte e l’esecuzione di esami programmati oppure estemporanei.
Il lavoro si svolge in team e a stretto contatto con anestesisti, fisioterapisti, dietiste, psicologi ed altre figure professionali di volta in volta necessarie. Questa attività è totalmente diversa dall’attività ospedaliera soprattutto perché si svolge in un ambiente dove talvolta si devono prendere decisioni da soli e in tempi brevi, perché si svolge a contatto con persone che, nonostante le condizioni, si rendono perfettamente conto di quello che gli succede ed infine perché nonostante la cronicità si tratta pur sempre di pazienti critici le cui condizioni generali e cliniche possono anche variare repentinamente. La comunicazione è un ulteriore elemento di complessità assistenziale.
La valutazione del paziente con ulcere croniche
Quando, nelle corsie dei reparti, o dai lettini degli ambulatori, oppure durante gli eventi formativi o in occasione degli stage/ tirocini dei corsi di laurea e master universitari, si pone la fatidica domanda: “Cosa serve per ottenere la guarigione di un’ulcera cronica?”, comunemente la risposta è un lungo elenco di medicazioni, dispositivi e tecnologie tra i più disparati. Oggi più che mai è invece necessario (ri)orientare l’assistenza limitata e limitante generata da questa prospettiva che non riesce ad andare oltre al “buco che c’è nella pelle”, restituendo centralità alla persona con lesioni cutanee; occorre riaffermare che il processo di cura deve essere basato su conoscenze approfondite, svincolate da interessi commerciali, fondate su principi di appropriatezza, equità, sostenibilità e in linea con il rigore metodologico dell’Evidence Based Nursing/Medicine che fatica ad affermarsi. Questo testo, pensato e scritto da infermieri con pluriennale esperienza e una formazione specifica nel settore del wound management, propone nozioni teoriche e strumenti pratici per capire quale ulcera e in quale paziente abbiamo di fronte, e de- finire quali obiettivi e quali esiti dobbiamo valutare e devono guidare i nostri interventi. Nello specifico, la prima sezione del volume affronta alcune tematiche propedeutiche alla valutazione delle ulcere croniche, offrendo al lettore una discussione approfondita sui meccanismi della riparazione tessutale normale e quelli attraverso cui un’ulcera diventa cronica; segue una panoramica di questa tipologia di lesioni cutanee. La seconda sezione entra nel dettaglio delle varie fasi in cui si articola il percorso strutturato della valutazione con cui realizzare la raccolta di informazioni e dati sulla base dei quali formulare un giudizio clinico e guidare, in maniera consapevo- le e finalizzata, gli interventi di trattamento delle ulcere croni- che, come è richiesto ai professionisti della salute di oggi.Claudia Caula, infermiera esperta in wound care. Direzione delle Professioni Sanitarie. AUSL Modena.Alberto Apostoli, podologo; infermiere esperto in wound care; specialista in assistenza in area geriatrica; specialista in ricerca clinica in ambito sanitario. Azienda ASST Spedali Civili di Brescia.Angela Libardi, infermiera specializzata in wound care. ASST Sette Laghi – Varese.Emilia Lo Palo, infermiera specializzata in wound care. Ambulatorio Infermieristico Prevenzione e Trattamento Lesioni Cutanee; Direzione delle Professioni Sanitarie. Azienda ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Claudia Caula – Alberto Apostoli – Angela Libardi | 2018 Maggioli Editore
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Qual è a domicilio il rapporto con l’ambiente, la famiglia e i caregiver ?
Le famiglie devono poter accettare che l’Infermiere possa prendersi carico del proprio caro. Ciò non avviene mai automaticamente e questa è una prima importante criticità. I familiari stretti rappresentano quasi sempre l’unico appiglio certo e stabile sia per il paziente che, paradossalmente, anche per chi lo assiste.
Accade così che a, seconda dei casi, possa essere richiesto di relazionarsi con estrema prudenza, facendo attenzione a non sottovalutare il contributo dei familiari. Ci si rende conto, stando a stretto contatto con l’ambiente domiciliare, che il paradigma assistenziale prevede un approccio bivalente: da una parte si deve tenere in alta considerazione il contributo possibile da parte di parenti, familiari e caregiver, ma dall’altra si deve pure offrire loro sicurezza, sostegno e tranquillità.
Non è raro che i familiari siano estremamente stanchi ed affaticati dalla quotidianità, dal carico fisico e psicologico, dal peso che certe situazioni determinano sulla loro esistenza. Si tratta quindi di possedere la fine capacità di percorrere la strada giusta per entrare così empaticamente in sintonia con ambiente e persone, cercando peraltro di non lasciarsi coinvolgere emotivamente, pena il rischio di burn out. Infine è importante svolgere il proprio ruolo assumendo anche le funzioni educative, laddove necessario e possibile.
Consiglieresti ai giovani neolaureati questo tipo di attività e perché?
Senza dubbio l’attività infermieristica a domicilio, specie se esercitata in forma libero professionale nei confronti di pazienti complessi, presenta dei punti di forza e dei punti di debolezza.
Tra i punti di debolezza potrebbe esservi il fatto che oggi viene intrapresa come punto di partenza dai giovani infermieri non adeguatamente preparati, mentre in passato rappresentava, al contrario, un punto di arrivo per gli Infermieri al termine della propria carriera professionale.
Tralasciando i motivi per cui avviene questo, difficili da esaminare in poco spazio e in questa sede, certamente l’impatto può essere duro, fino a diventare in certi casi insormontabile. Tra i punti di forza si può annoverare l’esercizio realmente autonomo della professione, la reale presa in carico del malato, la costruzione di un vero rapporto di fiducia col paziente e i suoi familiari, l’organizzazione per obiettivi del proprio lavoro, le strette relazioni di collaborazione con gli altri professionisti del team, la possibilità di carriera.
Questo rende sicuramente più interessante l’attività domiciliare nei confronti di questi pazienti. Se a questo si aggiunge poi che oggi esistono sorprendentemente anche gratificazioni economiche non paragonabili rispetto all’attività di dipendente pubblico in Ospedale, grazie ai regimi fiscali attuali, concludo rispondendo che consiglierei ad un giovane neolaureato questo tipo di attività, ma solo con opportuno inserimento guidato e continuo addestramento e formazione.
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