Sono molto contento di intervistare oggi il dott. Francesco Satiro, infermiere specialista in accessi vascolari, tutor clinico e consigliere dell’OPI di Pescara, ma anche primo infermiere aerospaziale italiano.
Buongiorno, dottore. Vorrei iniziare questa chiacchierata chiedendole cos’è la medicina spaziale e soprattutto lo space nursing?
Buongiorno a lei, dottor Gervasio. Ne approfitto per ringraziarla dell’invito. Inizio con il dirle che la medicina spaziale è quella branca che si occupa dello studio del corpo umano in tutte quelle condizioni in cui questo è posto in contesti differenti da quello terrestre.
Ovviamente, così come anche nel contesto terrestre, l’infermieristica aerospaziale invece si occupa dello studio dei bisogni della persona che si trova al di fuori del contesto terrestre.
Quindi l’infermiere prenderà in carico un astronauta e formulerà piani assistenziali specifici. Il problema principale dello space nursing è che gli infermieri non partecipano quasi mai ai progetti di ricerca nell’ambito della medicina spaziale, a differenza del personale medico.
Questo perché, così come avviene anche sulla Terra, si tende a mettere in competizione medici e infermieri, ignorando che sono due figure totalmente differenti che offrono il loro meglio quando lavorano in sinergia.
Lei è il primo space nurse italiano, ma quello che voglio chiederle è: nelle maggiori Agenzie spaziali come la NASA e l’ESA ci sono infermieri spaziali?
Sì, io sarei il primo space nurse italiano, anche se non lavoro da space nurse. Mi spiego meglio, io sono l’unico infermiere italiano ad essere socio onorario della Space Nurse Society, che è una Società scientifica nata negli USA. Infatti, è importante fare un distinguo tra l’USA e l’Italia, ma anche l’UE.
Gli americani investono molto nella ricerca spaziale e nelle figure utili al progresso di questa. Gli infermieri però sono relegati ancora ad un ruolo ambulatoriale, nel senso che si occupano degli esami pre e post missione e dei follow-up, quindi non partecipano alla missione e non progettano dei piani assistenziali che saranno poi attuati in orbita.
Alcuni infermieri però stanno cercando di entrare sempre di più nelle ricerche, con l’obiettivo di prendere parte anche a missioni future. Rispondendo quindi alla domanda: sì, ci sono infermieri nella NASA e nell’ESA, ma rivestono solo un ruolo ambulatoriale.
Ovviamente, non esistendo questa figura in Italia, non esiste neanche un corso di formazione, quindi cosa consiglia di fare ai nostri colleghi che vogliano diventare infermieri aerospaziali?
Sa hanno possibilità di trasferirsi in USA e studiare lì dove ci sono corsi ad hoc, altrimenti iniziare in Italia con elisoccorso o iniziare a collaborare con l’Aeronautica Militare. Questo perché, per entrare nei team di missione, è necessario quantomeno avere diverse ore di volo riconosciute, nonché una certa propensione fisica.
Non scordiamoci che l’addestramento per diventare astronauta è molto duro. I militari sono sicuramente preferibili, ma il punto è sempre quello: entri nel team di ricerca come militare, non come infermiere.
Quello a cui dobbiamo puntare è far riconoscere la nostra professione come fondamentale nelle equipe delle missioni spaziali. Ad oggi comunque – ripeto – non è mai successo che un infermiere entrasse in un team di missione.
A che punto è la ricerca nell’ambito della medicina spaziale?
Non è così avanzata come lo è quella tecnologica. Infatti, si investe poco nella ricerca medica, perché ci si concentra sui macchinari. Ad oggi solo il 10% della ricerca è incentrata sulla parte medica. E questo è un grande peccato, perché la ricerca nella medicina spaziale ha un grandissimo potenziale.
Basti pensare che agli studi sul tumore del seno, sull’invecchiamento, sull’osteoporosi, sull’attività muscolare, sono studi che hanno contribuito a migliorare la pratica clinica quotidiana partiti però dallo spazio.
Riassumendo: lo studio della medicina nello spazio aiuta a migliorare la qualità di vita sulla terra. E con questo rispondo anche a tutti quelli che dicono “perché investire nello spazio se ci sono così tanti problemi sulla Terra”.
Ci sono sanitari negli equipaggi e nell’ISS?
Se noi intendiamo con equipaggio anche quelli che rimangono a terra, ovviamente sì, se invece intendiamo gli astronauti, no. Questo perché si parte dal concetto di base che l’astronauta ben educato può fare tutto da solo e perché sono stati rarissimi i casi di emergenze sanitarie nello spazio. Per esempio, nell’ISS gli astronauti eseguono costantemente test fisici da soli, prelievi di sangue in autonomia.
Il problema – a mio avviso – è che l’astronauta conosce solo la procedura tecnica, ignorando quella può essere tutta la parte intellettuale intorno: banalmente, l’ordine delle provette, la scelta della vena, ma anche per esempio la disinfezione, perché non dimentichiamoci che nello spazio cambia il concetto di sterilità, perché lo spazio è di per sé un ambiente sterile, ma “inquinato” dagli esseri umani. Questo è un esempio semplice, però ci fa capire di come sarebbe utile avere un infermiere aerospaziale nella squadra.
Ma pensiamo anche per esempio alle tecniche di rianimazione, alla RCP, l’argomento più trattato – per ovvi motivi – nella letteratura inerente alla medicina spaziale, considerando gli importanti cambiamenti fisiologici che avvengono nella persona quando è nello spazio.
Questi articoli – spesso scritti da personale laico – affermano che non ci siano differenze tra Terra e spazio: cosa sbagliatissima, ma sarebbe molto lungo da spiegare e ci vorrebbe un’intervista a parte.
Le dico solo che non si attivano risorse, ma si cambiano unicamente le posizioni rispetto alla RCP terrestre (precisamente ce ne sono 7). Lo studio che invece noi sanitari stiamo conducendo propone l’utilizzo del LUCAS, macchinario poco utilizzato nel contesto terrestre, ma che sarebbe utilissimo nello spazio.
E questo conferma l’importanza dell’infermiere aerospaziale: la decisione del cambio di posizione, dell’utilizzo di macchinari appartiene al ragionamento clinico infermieristico, che un ingegnere, per quanto bravo possa essere, non potrà mai avere.
Quello che spero è che al più presto l’infermiere possa entrare pienamente nelle equipe con propri piani assistenziali e gestire in un rapporto uno ad uno l’astronauta: occuparsi dei test pre-missione, dell’educazione sanitaria, delle consulenze in volo e del post-missione, in modo da reperire anche dati che poi favoriranno lo sviluppo della ricerca scientifica nel contesto spaziale, e quindi ripeto, anche nel contesto terrestre.
Mi dà un commento laconico sulla figura di Dee O’Hara, considerata la prima space nurse?
Sicuramente è stata una figura importante che negli anni ’50 si è data da fare per migliorare la nostra professione e lo status dell’infermiere inserendolo nei contesti spaziali, ma
comunque il suo ruolo era pari a quello che è attualmente e che spero in futuro possa avanzare, perché sono convinto che gli infermieri possano dare di più.
Concludendo, lei sa che anche io sono un appassionato dello spazio e della medicina spaziale. Sempre più spesso oramai si sente parlare di crociere spaziali e diversi magnati già le hanno fatte. Anche le case di produzione cinematografica si stanno organizzando per girare le riprese di film direttamente sulla Stazione Spaziale Internazionale. Poco tempo fa è uscito nelle sale russe “Vyzov: The Challange” il primo film nella storia girato nello spazio e dovrebbe seguire un film con l’attore Tom Cruise. Che ruolo rivestiranno i sanitari in questo futuro così prossimo?
Quello a cui si sta lavorando attualmente è creare delle vere e proprie postazioni sanitarie sull’ISS, delle camere di emergenza, dei piccoli “ospedali spaziali”. Sicuramente su queste crociere spaziali sarà fondamentale avere anche personale sanitario qualificato.
Ringraziandola, chiudo l’intervista con l’ultima domanda: obiettivi futuri?
Approfondire lo studio sulla RCP nello spazio, pubblicare i miei studi sulle infusioni endovenose in microgravità e perché no, far nascere una prima società di infermieri spaziali in Italia. Grazie mille ancora per l’invito e buon proseguimento.
Autore: Giuseppe Gervasio (Facebook – Linkedin)
ECG facile: dalle basi all’essenziale
ECG facile
Quando un infermiere entra in un nuovo contesto lavorativo, viene investito da un’onda di gigantesche proporzioni di protocolli, nozioni, dinamiche, relazioni e migliaia di cose da sapere. Fortunatamente, però, la saggezza professionale insegna che le cose hanno, alla fine, sempre la stessa dinamica: prima è tutto difficile, poi diventa normale, e prima o poi le cose si faranno semplici. È un ciclo che si ripete. Quale che sia il reparto o il servizio, prima si affronterà la montagna e prima si potrà godere della vista incantevole dei picchi a fianco delle nuvole, e scendere a valle soddisfatti del cammino, pronti per la prossima sfida. L’interpretazione dell’elettrocardiogramma è una di queste sfide. Lo scopo di questo breve manuale è guidare il sanitario, per quanto sia possibile, verso il pendio più semplice da scalare, aiutandolo passo dopo passo ad acquisire gli strumenti per non cedere mai di fronte alle avversità. A differenza dei numerosi manuali di autoapprendimento all’interpretazione dell’ECG disponibili nelle librerie e sul mercato, questo testo non è stato pensato per medici, ma è scritto e pensato per il personale sanitario come l’infermiere o, se volete, il tecnico sanitario perfusionista o di radiologia, che ogni giorno si confrontano con questo meraviglioso strumento di indagine. Il manuale tra le vostre mani ha il solo scopo di farvi sviluppare un unico superpotere: saper discriminare un tracciato normale da uno patologico, sapere quando dovrete segnalarlo al medico, e possibilmente salvare la vita del paziente. Scusate se è poco! Dario Tobruk Infermiere di area critica, ha lavorato in Cardiologia e UTIC e si è specializzato in ambito cardiologico. Da sempre persegue l’obiettivo di occuparsi di informazione, divulgazione e comunicazione medico-scientifica. In collaborazione con la casa editrice Maggioli, ha fondato dimensioneinfermiere. it, che tuttora dirige.
Dario Tobruk | Maggioli Editore 2021