Intervista a Milena: italiana, infermiera da anni in Inghilterra, ci racconta i motivi per rimanere a lavorare all’estero.
Perché hai deciso di intraprendere questo percorso?
“Sono venuta in Inghilterra con l’idea di riscattarmi, in Italia mi sono sentita sempre sottovalutata, le mie ambizioni di crescita si sono sempre scontrate con un sistema scarsamente meritocratico, o comunque che predilige far selezione solo sulla base di test che poco hanno a che vedere con la vera conoscenza della materia sanitaria e molto con varie discipline. Io volevo specializzarmi ed ho fatto il test per la specialista di infermieristica a Catania, non sono riuscita ad entrare, e il giorno dopo ho fatto il biglietto per andare via. Qui a Londra faccio quello che avrei voluto in Italia, le mie competenze e qualità sono apprezzate, è pazzesca la vicenda di un mio collega che ha passato la selezione per la specialistica ed ha finito quel percorso (che almeno formalmente avrebbe dovuto aprire le porte ad una carriera manageriale nel mondo sanitario) ma che è comunque rimasto a lavorare presso una RSA (residenza sanitaria assistenziale) senza possibilità di crescere professionalmente e senza che abbia sfruttato le competenze acquisite. La mia vicenda ha invece trovato un esito positivo proprio grazie a quel “fallimento”, nella struttura sanitaria dove lavoro mi stanno pagando più del 70% del costo della laurea di secondo livello. Questo rende l’idea della differenza con L’Italia, qui sono loro a puntare su di te senza che tu debba fare null’altro che esprimere le tue qualità, se tu vali, sono loro poi ad indirizzarti ed a volere che tu sia quanto più specializzata, in un modus operandi quasi automatico. Io non pensavo di venire qui e continuare a studiare, sono stati in ospedale a propormi di iniziare la specialistica e a dirmi che l’avrebbero pagata loro.
Come hai fatto a trovare lavoro lì?
Io sono partita senza una precisa idea di come si facesse a trovare lavoro, per i primi mesi ho affinato la mia conoscenza della lingua ed ho lavorato in un panificio, poi ho lavorato in una casa di riposo per un mese come health care assistant che è il corrispettivo della nostra operatrice OSS, OSA, ho inviato qualche curricula e dopo un colloquio personale mi hanno presa presso la mia attuale struttura. Differente è la situazione di molti italiani che lavorano con me, loro sono arrivati insieme: un gruppo di venti ragazzi selezionati in varie parti d’Italia da un’agenzia irlandese, sono stati scelti sulla base della conoscenza della lingua e catapultati dentro la realtà londinese.
Quali sono le criticità del sistema anglosassone?
Come in Italia anche noi viviamo la carenza di personale, ma credo che questo sia dettato da una differente mentalità, qui, infatti, hanno standard qualitativi molto elevati, per mantenere questi livelli ovviamente è necessario o avere più personale o sfruttare al massimo chi è già inserito, i turni di lavoro sono infatti impegnativi e lunghi considerando che durano 12 ore. Questa è una difficoltà comunque supportabile perché in reparto agli infermieri sono assegnati 4 pazienti, in rianimazione dove sono io ne viene assegnato uno solo.
Come si relazionano medici ed infermieri nel tuo ospedale?
Medici e infermieri lavorano così a stretto contatto che delle volte è possibile confonderli, soprattutto quando si arriva ad un certo livello di specializzazione e questa è la cosa che mi ha stupito di più da quando sono arrivata. Si consideri inoltre che il direttore sanitario quando io ho iniziato a lavorare era un’infermiera. Questo a dimostrazione delle enormi possibilità concesse a chi vuole impegnarsi e a chi dimostra di avere qualità. Agli infermieri che raggiungono il più alto livello di preparazione, è inoltre concesso per esempio di insegnare o di gestire la parte manageriale di alcuni reparti o di interi ospedali, senza che questo entri in collisione con il lavoro dei medici, in particolare da un punto di vista decisionale l’infermiere riveste un ruolo strategico: collabora con il medico che cura gli aspetti clinici, mentre l’ambito manageriale spetta all’infermiere. Anche da un punto di vista personale la sinergia e collaborazione è molto sentita, non si sente il distacco fra le due professioni.
Consigli l’esperienza inglese?
Consiglio di studiare in Italia, perché la formazione dei neolaureati inglesi non è per nulla adeguata, io ho vari tirocinanti e il più delle volte i neo assunti inglesi hanno carenze teoriche e pratiche notevoli. Al contrario il livello di conoscenza teorica e pratica degli infermieri italiani è nettamente superiore. Io mi sono laureata in Sicilia e avevo già fatto, grazie anche al periodo di tirocinio obbligatorio, un’esperienza pratica di spessore, oltre ad avere acquisito conoscenze teoriche notevoli. Il problema italiano è il dopo, tutta questa grande preparazione e conoscenza che non viene sfruttata da un punto di vista professionale, per cui sì, consiglio di venire a lavorare in Inghilterra.
Con la brexit cosa accade?
A me non cambia molto perché ho un lavoro a tempo indeterminato con un reddito superiore a 21.000 sterline annue, e quindi ho un visto lavorativo permanente, fino a quando prenderò la cittadinanza e al momento mi mancano 2 anni. Le cose cambieranno per coloro i quali vogliano fare esperienze brevi, l’esperienza in quel caso sarà vincolata al rilascio del visto turistico che dura solo tre mesi, dopodiché bisognerà dimostrare di avere un contratto full time che ti garantisca il reddito minimo.
Nuovi modelli di lavoro:
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