Lo spunto di riflessione nasce dalle storie di chi ha vissuto direttamente e da professionista la maternità in un’Italia diversa – di cui non racconteremo oggi – dai fatti di cronaca spesso scorrelati dai numeri reali, dalla curiosità di capire che direzione stiamo prendendo in una sanità che sempre più necessita di manager in grado di ridurre il costo dei posti letto – a fronte del miglioramento della salute delle donne e dei bambini …
Questo il quadro che emerge dall’ultima indagine ISTAT, pubblicata nel lontano 2014, della quale attendiamo più recenti sviluppi, dal titolo “Gravidanza, Parto E Allattamento” (con una lieve flessione semantica dalla stessa indagine Europea EURO-PERISTAT-2015 “Health And Care Of Pregnant Women And Babies”).
Primo rialzo negativo, emerso dall’indagine che l’ISTAT pubblica a chiare lettere, è che la medicalizzazione in gravidanza continua ad aumentare – rispetto al 2000 – e si acuisce significativamente, con un aumento ulteriore del ricorso a prestazioni diagnostiche per immagini: donne che eccedono (eccedono le donne?), nei controlli ecografici – almeno 7 ecografie durante la gestazione – a fronte di Linee Guida Sulla Gravidanza Fisiologica (2) che (all’epoca dell’indagine) raccomandavano 2 ecografie in caso di gravidanze fisiologiche.
“Attualmente in Italia, il Sistema Sanitario Nazionale prevede l’esenzione per tre esami ecografici in caso di gravidanze fisiologiche, ma, nel complesso, l’80,3% delle donne ne ha fatte oltre 3, in aumento rispetto al dato già elevato del 2005 (78,5%) e del 2000 (75,3%). Aumenta soprattutto la percentuale di donne che si è sottoposta a 7 ecografie o più: dal 23,8% nel 2000 al 37,6% nel 2013”(3).
“Percentuale di parti con più di 4 visite di controllo effettuate in gravidanza: 86,5% (2013), 87,3% (2014)” (4).
Scopo delle indagini è trovare risposte a domande altrimenti inevase, ed ecco che ne emerge che la figura professionale (5) che segue la donna in gravidanza condiziona il livello di medicalizzazione della gravidanza stessa: le donne seguite da un ginecologo privato effettuano più spesso 7 o più controlli ecografici (45,2%), mentre le quote sono più contenute tra quante sono state seguite da un ginecologo del consultorio (17,3%) o di una struttura pubblica (28%). Anche nel caso di gravidanze fisiologiche l’elevato ricorso a controlli ecografici è molto più alto nel privato (41,8%), rispetto al pubblico (18,5%).
Il concorso per infermiere pediatrico
Questo volume è rivolto a quanti si apprestano ad affrontare un concorso pubblico per collaboratore professionale sanitario – infermiere pediatrico e intendono conseguire una preparazione adeguata ai fini delle prove da affrontare. Per la sua impostazione, l’opera risulta valida sia per le prove concorsuali nelle quali i test sono strutturati secondo lo schema della risposta multipla, sia per quelle in cui è richiesta una breve trattazione degli argomenti. I commenti alle risposte, infatti, riportano delle esaurienti spiegazioni che consentono non solo di verificare il proprio livello di preparazione, ma anche di impostare una succinta risposta a un quesito. I questionari proposti sono stati elaborati in base alla frequenza con cui ciascun argomento è stato presentato nei diversi concorsi banditi negli ultimi anni, inglese e informatica inclusi. Vengono inoltre riportate le principali procedure di nursing pediatrico illustrandone definizioni e scopo, matrici delle responsabilità, campi di applicazione, valutazioni iniziali e finali, materiali occorrenti. Chiudono il volume utili simulazioni di seconda prova scritta che permettono di prepararsi a tale forma di selezione.Indice• Allattamento e nutrizione• Biochimica clinica• Elementi di nursing• Aspetti patologici e psicopatologici: il dolore in pediatria• Farmacologia in pediatria• Genetica• Fisiologia della nascita• Sviluppo prenatale• Neonato• Legislazione sanitaria e infermieristica• Patologia neonatale e pediatrica• Emergenze in pediatria• Inglese• Informatica• Procedure: aerosolterapia – instillazione auricolare di farmaci – gestione del catetere vescicale – inserimento di un catetere venoso periferico – esecuzione di un clistere – valutazione del dolore nel bambino – esecuzione dell’elettrocardiogramma – somministrazione di farmaci per via endovenosa – raccolta di un campione di feci per esami – lavaggio di un catetere venoso periferico – fototerapia neonatale – prelievo capillare per il monitoraggio della glicemia – rilievo della frequenza cardiaca – rilievo della frequenza respiratoria – terapia intramuscolare – aspirazione rino-tracheale – nutrizione enterale – nutrizione parenterale – igiene della cavità orale – somministrazione della terapia per via orale – irrigazione auricolare – prelievo di sangue periferico – misurazione della pressione arteriosa – somministrazione della terapia per via rettale – terapia sottocutanea – gestione delle stomie – misurazione della temperatura corporea – raccolta di un campione di urine da catetere vescicale• Simulazioni di seconda prova• Appendice normativa on line
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Nessun riferimento a donne in gravidanza seguite da un’ostetrica, professionista sanitario che, così come previsto dal Profilo professionale, “assiste e consiglia la donna nel periodo della gravidanza, durante il parto e nel puerperio, conduce e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato” (6). In Italia dunque, la figura di riferimento per la maggior parte delle gravidanze, sembra essere il ginecologo, a differenza dei cosiddetti paradisi nord-europei del parto dove la gravidanza è appannaggio ostetrico e non medico ed i tagli cesarei si attestano al 18% (7).
Ma come nascono i bambini in Italia?
L’Italia è il paese con il numero di parti avvenuto con taglio cesareo tra i più alti dell’Unione Europea (8) assieme a Bulgaria, Ungheria, Romania, Polonia, Cipro: la percentuale è pari al 36,3% nel 2013, oltre il doppio di quella raccomandata dall’OMS, e superiore di quasi 10 punti percentuali rispetto alla media Ue 27 (26,7% nel 2011). Anche Stati Uniti e Canada hanno percentuali di tagli cesarei più basse dell’Italia (rispettivamente 31,4% e 26,1% nel 2010).
Evidentemente sia le linee guida sul ricorso al taglio cesareo dell’Istituto Superiore di Sanità che il PSN 2011-2013 del Ministero della Salute che invitavano a contenerne il ricorso al di sotto del 20% del totale dei parti, sono stati troppo a ridosso dell’indagine ISTAT in termini di tempo, motivo per cui sarebbe stati veramente difficile apprezzarne gli esisti positivi riflessi sui grandi numeri.
Fatto sta che l’indagine ha confermato l’elevato ricorso al taglio cesareo, con una stima pari al 35,3%, con valori più elevati nel Mezzogiorno (45,2%) e nel Lazio, raddoppiati nelle strutture private rispetto alle pubbliche e, per la maggioranza, programmati tra la trentottesima e la quarantesima settimana di gestazione (in barba a generazioni di testi di fisiologia umana sconfessati sulla durata della gravidanza compresa tra le quaranta e le quarantadue settimane).
È andata meglio con l’analisi dei parti spontanei?
Pare di no, perché la sovrapposizione tra parto spontaneo e parto naturale fa perdere di vista il significato delle cose, laddove il primo indica la via vaginale dello stesso, mentre il secondo è privo di qualsiasi intervento medico.
Nel lontano 1985 l’OMS promulgò le raccomandazioni per una adeguata assistenza in gravidanza, durante il travaglio e il parto, e successivamente una “practical guide”, nel 1996, dove espressamente dichiarò che alcune manovre sono fortemente sconsigliate, al limite da effettuarsi “in casi particolari e non sistematicamente“, al fine di garantire una nascita sicura per madre e bambino: rottura artificiale delle membrane, il monitoraggio elettronico fetale continuo, l’uso sistematico dell’episiotomia, la somministrazione di routine di farmaci durante il travaglio, la manovra di Kristeller al momento dell’espulsione del feto. Si parla di manovre e non di procedure – come riportato dall’ISTAT – (giacché la procedura è dotata, per sua stessa natura, di quei fondamenti scientifici che ne validano l’esistenza) che, nonostante la letteratura internazionale non consideri affidabili o raccomandabili, può accadere vengano effettuate al momento del parto (9).
Invece il livello di intervento medico complessivo sembra essere elevato: il 72,7% delle donne hanno riferito almeno una delle procedure assistenziali. Le donne che hanno avuto un parto spontaneo riferiscono di aver subito la rottura artificiale delle membrane (delle acque) (32%) e l’episiotomia in un terzo dei casi (34,7%), il monitoraggio cardiaco fetale continuo nel 45,2% e le pressioni sul ventre in fase espulsiva (tra cui la manovra di Kristeller) nel 22,3%. La somministrazione di ossitocina (farmaco che aumenta la frequenza e l’intensità delle contrazioni) viene dichiarata dal 22,3% delle donne, ma una quota affatto trascurabile (14,2%) dichiara di non sapere se le sia stata o meno somministrata – il famoso approccio paternalistico della medicina, sempre più raccomandato, a quanto sembra.
L’impatto delle pratiche post-parto, viste distintamente tra chi ha e non ha avuto un taglio cesareo, rimangono significative: l’attacco precoce al seno, l’esclusività del latte materno nei primi giorni di vita e infine il “rooming in” (10) sono fattori che favoriscono l’allattamento materno, sia in termini di numero maggiore di donne che allattano, sia in termini di durata e pratica dell’allattamento esclusivo in entrambi i due gruppi di donne.
In Italia, nel 2013, quasi la metà (49,1%) delle donne che hanno partorito nei 5 anni precedenti l’indagine ha usufruito del “rooming in”, così come definito dall’OMS. La pratica è più diffusa al Nord (in particolare Nord est) e poco al Sud. Sono rari i casi di chi non ha potuto avere vicino il bambino, per lo più per motivi di salute della madre o del neonato (5,3%) o perché la struttura dove ha partorito non lo permetteva (8,8%).
In tutti i casi i livelli di allattamento al seno sono sempre inferiori tra chi ha avuto un parto cesareo rispetto a chi lo ha avuto spontaneo. Breve digressione sulla ghiandola mammaria: in quanto ghiandola, funziona se viene stimolata ormonalmente, meccanicamente e dagli archi-riflessi – il parto con taglio cesareo non ha effetto inibitorio sull’allattamento in sé per sè, quanto piuttosto la donna risulta deficitaria della naturale stimolazione ormonale indotta dal travaglio e, pertanto, necessita di informazione, educazione sanitaria da parte dei professionisti della salute, empowerment diretto alla fortificazione del nuovo Io Materno ancora tutto da costruire, insomma serve sostegno maggiore in termini tempo come relazione di cura (11); piuttosto che sbrigarcela con un generico “Dagli un po’ di giunta …”.
Ne emerge un quadro devastante, almeno dai grandi numeri; eppure i mezzi e le risorse umane per ribaltare tutto ciò ci sono, e sono stati messi in pratica con ottimi risultati in termini di salute materno-infantile.
Autrice: Dr.ssa S. Alberti
Fonti e bibliografia:
- Testimonianza di famiglia assistita da ostetriche condotte di un “paese” del centro Italia
- www.snlg-iss.it
- www.istat.it
- www.istat.it -ITALIAN DATA FOR UN-SDGs Goal 3: Good health and well-being (dicembre 2017)
- www.istat.it
-
D.M. n. 740/94 – Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’ostetrica/o (G.U. 9 gennaio 1995, n. 6 serie generale)
- www.europeristat.com
- www.europeristat.com
- www.istat.it
- Il “rooming in” è raccomandato dall’OMS fin dal 1989 e prevede che il bambino stia la madre 24 ore su 24 dal momento del parto fino alla dimissione; questo a vantaggio di vari aspetti della salute materno-infantile, favorendo il legame madre-bambino, riducendo lo stress del neonato (i bambini piangono meno) e anche favorendo l’allattamento al seno.
- Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche – Capo I – Art 4 RELAZIONE DI CURA (12/13 aprile 2019)
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