Il problema del burnout nel personale sanitario è una preoccupante realtà del nostro Paese. Secondo un recente policy brief dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ben tre operatori su quattro lamentano uno sforzo fisico eccessivo e nove su dieci sono insoddisfatti della retribuzione e delle prospettive di carriera. La situazione è critica anche per lo sforzo mentale ed emotivo, con rispettivamente il 97% e il 93% dei soggetti che ne sono colpiti.
La carenza di personale sanitario è uno dei principali fattori che contribuiscono a questa crisi. Tra il 2008 e il 2018, a causa del blocco del turnover e dei tagli alla spesa sanitaria, il personale del Sistema Sanitario Nazionale si è ridotto di oltre 41mila unità. Di conseguenza, l’età media del personale è aumentata, con medici e infermieri che raggiungono rispettivamente circa 51 e 47 anni nel 2020. Ciò ha portato ad un carico di lavoro più pesante per un numero ridotto di lavoratori, spesso avanti con gli anni.
Secondo il professor Sebastiano Fadda (VEDI Agenzia DIRE), presidente dell’Inapp, questa carenza di personale rischia di compromettere sia il benessere lavorativo degli operatori, già a rischio di burnout, sia la sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale. L’aumento dell’età media del personale e i prossimi pensionamenti, senza un adeguato turnover, minacciano l’efficienza dei servizi e la sostenibilità del sistema, soprattutto con l’aumento della domanda di servizi di prevenzione, cura e assistenza legato all’invecchiamento della popolazione.
La situazione lavorativa per il personale sanitario è peggiorata negli ultimi anni. Il 70% ritiene peggiorati i ritmi di lavoro, il 65% le condizioni economiche e il 45% le opportunità di carriera. Questo sta influenzando anche le aspettative future degli operatori, con più del 50% che non vede possibilità di sviluppo professionale nei prossimi cinque anni.
Preoccupante è anche il timore di un aggravio di lavoro per coloro che rimarranno in servizio, con una percentuale media del 76% tra gli ultracinquantenni. Questo ha portato a un’interessante scoperta: circa il 28% del totale sarebbe interessato a un possibile ritiro anticipato, anche con una riduzione dell’assegno mensile del 20-30%. Questa percentuale è sorprendente, soprattutto considerando che non sono solo i lavoratori più anziani ad essere interessati, ma anche i più giovani, preoccupati per un’eventuale vita lavorativa prolungata con condizioni insostenibili.
Per risolvere questa situazione critica, il professor Fadda sostiene che sia necessario potenziare gli organici, introdurre nuove politiche di gestione del personale e restituire riconoscimento e valore agli operatori. Inoltre, bisogna rinnovare la governance del sistema, chiarire i rapporti tra strutture pubbliche e operatori privati e implementare una nuova organizzazione del lavoro e dei servizi. L’innovazione tecnologica e l’age management devono trovare spazio e supporto adeguati per affrontare le sfide poste dalle trasformazioni demografiche e garantire la sostenibilità del sistema sanitario nel suo complesso.
Infine, bisogna affrontare il tema della tecnologia nel settore sanitario. La scarsa diffusione delle tecnologie è principalmente attribuita alla mancanza di investimenti delle strutture sanitarie, alla mancanza di tempo per la formazione e all’eccessiva costosità della strumentazione. Tuttavia, il personale sanitario è convinto dell’importanza delle tecnologie e della necessità di apprenderle e utilizzarle per svolgere al meglio il proprio lavoro. È quindi fondamentale promuovere l’interazione efficace tra il personale e le tecnologie, uniformando le infrastrutture su tutto il territorio nazionale per evitare disparità nella fruizione dei servizi di cura.
La situazione del personale sanitario italiano è critica e richiede azioni concrete e tempestive per garantire il benessere degli operatori e la sostenibilità del sistema sanitario nazionale, su cui tutti noi contiamo.
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