“Le aggressioni? Sottostimate per la crescente rassegnazione degli infermieri”

L’Asst Papa Giovanni XXIII, seconda in Lombardia dopo l’Asst di Pavia, ha distribuito i primi 130 smartwatch antiaggressione a medici, infermieri e al personale sanitario. I dispositivi, già operativi, si attivano con un semplice tocco di un pulsante e inviano segnalazioni di pericolo a una centrale attiva 24 ore su 24, attivata grazie a un accordo con l’Areu.


Le aggressioni al personale socio-sanitario sono un problema sempre più rilevante. In occasione della giornata dedicata al tema, si è svolta un’iniziativa online organizzata dall’Ordine delle professioni infermieristiche di Bergamo, che conta 7.041 iscritti, l’87% dei quali donne. Durante il webinar, la psicologa e psicoterapeuta Nicole Adami, esperta nella gestione dell’emergenza sanitaria, ha affermato di percepire «una crescente violenza nella società, a tutti i livelli», una tendenza che impatta anche sulle strutture sanitarie. Marco Ghidini, segretario dell’Ordine, ha aggiunto che «il quadro normativo, arricchito negli ultimi anni anche da un Osservatorio specifico, fornisce una base per un futuro più sicuro», anche se «il problema persiste, soprattutto per il personale femminile».


Secondo i dati forniti ieri dall’Agenzia regionale di controllo del sistema socio-sanitario e dall’assessore regionale al Welfare Guido Bertolaso, nel 2024 in Lombardia si sono registrate 5.690 aggressioni al personale, con un aumento del 17,7% rispetto al 2023 (4.836). La maggior parte di queste sono aggressioni verbali (74,7%), ma anche fisiche (25,3%), e riguardano solo le strutture pubbliche. Nella Bergamasca, nel 2024, le aggressioni sono state 329, lo stesso numero del 2023, escludendo il settore privato. Questi numeri sono considerati sottostimati, come confermato dalle denunce trattate dall’Inail, che nel 2023 ha registrato solo 409 casi in tutta la Regione, un numero che rappresenta solo il 4% del totale effettivo, avvisa l’Ordine degli infermieri.


I luoghi più «pericolosi» sono gli ospedali, i pronto soccorso e le Rsa. Le vittime principali sono coloro che sono in prima linea, come infermieri, operatori, tecnici e medici. Per questo motivo, l’Ordine degli infermieri si impegna a formare i propri iscritti, fornendo anche supporto psicologico e tutela legale gratuita. L’obiettivo è insegnare come gestire il pericolo e le tecniche di de-escalation nei confronti degli aggressori, che sono «pazienti, familiari e caregiver».


Oltre ai numeri, dal webinar dell’Ordine degli infermieri emerge la complessità del quadro culturale. La dottoressa Adami ha spiegato che i dati reali delle aggressioni sono probabilmente sottostimati «a causa di una crescente rassegnazione degli operatori». Gli aggressori sono spesso persone in forte stato di agitazione o con disabilità, e i fattori scatenanti includono «ansia, frustrazione, uso di sostanze, oltre alle lunghe attese». Tra le raccomandazioni della dottoressa, si parla di una «burocrazia più snella, una maggiore sicurezza nella gestione degli spazi e, non meno importante, una sensibilizzazione della popolazione». Per quanto riguarda gli operatori, vengono formati nelle tecniche di de-escalation, che comprendono l’empatia con l’individuo che protesta (non per dargli ragione, ma per mettersi nei suoi panni), una comunicazione calma e l’osservazione della distanza di sicurezza.


Inoltre, la dottoressa Adami sottolinea l’importanza di «parlare con frasi brevi e semplici», considerando anche l’alto numero di analfabeti funzionali in Italia. Anziché chiedere «qual è il colorito del viso?», è meglio domandare «la faccia è pallida o rosa?». Quando ci si confronta con chi protesta, è fondamentale essere rassicuranti, non giudicanti, parlare a bassa voce e senza sarcasmo o espressioni dialettali. Infine, non si può ignorare il rischio di ulteriori «barriere linguistiche e culturali» con l’utenza straniera (VEDI Il Corriere della Sera).

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Alessio Biondino

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