Nicola Draoli, Consigliere Nazionale FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche) e Presidente dell’Opi di Grosseto, si è espresso su come gli infermieri vengono dipinti e mostrati ai cittadini nelle fiction italiane.
Pesanti stereotipi
Lo ha fatto in una intervista a fanpage.it, in cui ha anche spiegato che la Federazione degli infermieri è pronta ad aprire un dialogo con le case di produzione per evitare stereotipi e imbarazzanti inesattezze.
“Credo che il sentire negativo di chi svolge la professione infermieristica, nei confronti delle produzioni artistiche, sia dovuto a pesanti stereotipi, che da tempo ci stiamo sforzando di eliminare.
Basti pensare alla filmografia italiana anni ’70, che rappresentava l’infermiera come disinibita, sexy, procace, adescatrice, soggiogata dal ruolo del medico. Detto questo, trovo comunque positivo che gli infermieri siano più presenti rispetto a prima” ha dichiarato Draoli.
“Lea non è un documentario”
Che si è chiaramente espresso sulle nuove fiction che stanno avendo molto successo sul piccolo schermo. Su ‘Lea – Un nuovo giorno’, il consigliere ha sottolineato che ovviamente si tratti di una serie televisiva e quindi non di un documentario sulla professione, ma che è evidente come venga ‘venduto’ ai cittadini una sorta di “sistema gerarchico” ospedaliero che non è propriamente vicino alla realtà.
Infermieri che scattano sull’attenti e che iniziano a correre da tutte le parti quando arriva ‘il dottore’, insomma, come si vede chiaramente in Lea, è qualcosa che appartiene alla preistoria e che nella realtà odierna farebbe sorridere.
“Gerarchia militaresca”
“Probabilmente per dare linfa a certe sceneggiature. In realtà nei sistemi sanitari, salvo rari casi, non esiste questa gerarchia quasi militaresca, ma sono presenti la multi professionalità e il confronto” asserisce Draoli.
Ma non solo: “Sicuramente c’è un perdurare degli stereotipi di genere. Nel mondo della sanità, le donne sono presenti anche nella componente medica, ma continuiamo a vedere il potere in mano al medico uomo e, quanto agli infermieri, in tv vediamo esclusivamente donne.
Ancora si porta in scena un modello vecchio di qualche decina di anni. In realtà, sia tra gli infermieri che tra i medici e nelle relative posizioni di comando, si riscontrano sia uomini che donne.”
“Aspetti positivi: le relazioni”
Per il presidente Opi Grosseto, però, nella fiction di Rai Uno dove un’infermiera è protagonista non è proprio tutto da buttare: “Tra gli aspetti positivi di Lea, ci sono le relazioni che stabilisce con i piccoli pazienti che poi diventano curative.
Sono interventi terapeutici a tutti gli effetti. Devo dire, però, che noi infermieri, come gli altri operatori sanitari, vorremmo avere un tempo di cura così ampio come accade nella serie, ma purtroppo non è possibile.”
“Anna valle addestrata per risultare credibile”
Sulla specie di ‘addestramento’ a cui l’attrice protagonista sarebbe stata sottoposta per interpretare al meglio l’infermiera Lea, Draoli commenta: “Anna Valle è stata affiancata da vere infermiere che le hanno insegnato come risultare credibile. Dunque, sicuramente c’è stato uno sforzo per rappresentare la professione infermieristica nel miglior modo possibile. Senza dubbio.
Forse ci si concentra di più sul rendere credibili alcune situazioni immediatamente visibili, operative, come posizionare un presidio ospedaliero, rapportarsi al paziente. Insomma, ciò che salterebbe subito all’occhio se fatto male.
E si tralascia la credibilità di tutto il contesto. Tuttavia, capisco che una serie non possa raccontare in modo totalmente aderente alla realtà cos’è la professione infermieristica, snaturerebbe il concetto stesso di fiction.”
“In Doc gli infermieri non ci sono”
Per il consigliere il discorso è assai diverso per quanto riguarda ‘Doc – Nelle tue mani’, che “dipinge un mondo sanitario che è fatto esclusivamente da medici. Gli infermieri non ci sono proprio.
Questa cosa, comprensibile dal punto di vista della sceneggiatura, non ha chiaramente alcun senso nella realtà. Non per una rivendicazione professionale, ma perché il mondo della sanità è fatto da una pletora di figure, che vanno dai medici, agli infermieri, passando per gli Operatori Socio Sanitari. Ci sono 22 professioni sanitarie che popolano il sistema, più tutta la rete di servizi esterni.
Capisco sia molto complesso riprodurlo in una fiction, però questo modello mono professionale di intervento, fa perdere ogni minima sospensione dell’incredulità a chi fa questa professione. Si tratta di fare una rappresentazione un po’ più accurata.”
“Non è credibile che Lea rassetti stanze”
Ed è anche per questo motivo che nella serie televisiva si vedono infermieri che fungono da personale di supporto o da badanti: “Non è credibile, come accade in Lea, che l’infermiera sistemi la stanza di degenza, che è uno dei compiti che spettano agli operatori di supporto.”
Cosa si può fare per evitare che ai cittadini vengano sbattuti in faccia tutti questi ‘errori’ altamente confondenti? Il presidente Opi Grosseto non ha dubbi: “Noi come Federazione siamo disponibili a titolo gratuito. Chiunque voglia contattarci per avere un supporto, un’idea, un giudizio, noi ci siamo.
Da infermiere empatico mi metto nei panni degli sceneggiatori, mi rendo conto di quanto sia difficile dipingere a dovere questo mondo. Sarebbe interessante fare un ragionamento insieme per affinare la credibilità di ciò che si racconta.”
Il nostro commento
Tutto bello, tutto meraviglioso e quasi tutto condivisibile, caro collega Draoli. Immaginiamo, però, che molti infermieri esprimeranno qualche dubbio sul concetto “abbiate pazienza, si tratta solo di una fiction”.
Perché nelle serie televisive, siamo d’accordo, mestieri e professioni possono venire rappresentati con qualche errore (più o meno evidente), da degli attori (più o meno bravi) che provano a trasmettere al pubblico quanto di più caratteristico si avvicini alla figura da interpretare.
Per intenderci: il medico fa diagnosi e cura (con qualche divagazione), l’idraulico aggiusta tubi e rubinetti, il poliziotto arresta i ladri, il cuoco cucina, il cameriere serve ai tavoli, l’avvocato elargisce arringhe, ecc.
Ma se si associa l’infermiere, un professionista laureato, iscritto ad un Albo e facente parte di un Ordine, ad una sorta di manovale che rassetta le stanze, che spinge carrozzelle, che scatta sull’attenti quando arriva il medico, che distribuisce coccole e soprattutto che non fa altro, è diverso. È snaturante. È denigratorio. E confonde non poco i cittadini che poi, da un infermiere, si aspettano quello.
E non solo loro, a quanto pare: come ci si può stupire e/o lamentare, poi, se gli illustri ‘capoccioni’ dell’Aran sulle bozze di contratto parlano dell’infermiere come di una professione scelta per missione e vocazione (VEDI bozza del 13/01 a pag 5), altresì specificando che gli infermieri (professione autonoma) affiancano i medici (VEDI bozza del 22/02 a pag. 22)…?
Caro Governo, “gli infermieri hanno raggiunto il massimo livello di insoddisfazione”
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