Il licenziamento intimato nel periodo di gestazione deve dichiararsi “Nullo”

Redazione 17/01/17

Riceviamo e pubblichiamo il Commento a Cassazione sez. Lavoro, 11 gennaio 2017, n. 475 da parte del direttivo AADI.

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza depositata il 1/2/2013, accogliendo l’appello proposto dalla S.I.R. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato alla Sig.ra S. il 14/1/2006 e, per l’effetto, ordinava alla società R. S.p.A. di riassumere la lavoratrice o, in mancanza, di risarcirle il danno commisurato in cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi dalla maturazione del diritto al saldo.

La R. società datrice di lavoro, resiste con controricorso e propone altresì ricorso incidentale, cui resiste la S. che ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

La ricorrente denuncia, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 54, commi 1 e 5 del D.lg.vo 26/3/2001, n. 151 e 8 della legge n. 604/66, avendo la sentenza impugnata omesso di prendere in considerazione che la stessa si trovasse, al momento del licenziamento, in regime di puerperio, dato che aveva partorita la figlia il 22/6/2005 e il 14/1/2006, data del licenziamento, non aveva ancora compiuto un anno di età, cosa che ala Corte è evidentemente sfuggito.

Inoltre, denuncia la violazione dell’art. 54 del D.lg.vo 26/3/2001, n. 151 e dell’art. 1223 c.c. e si lamenta che la sentenza oggetto del giudizio di legittimità abbia violato l’art. 1223 c.c., non avendo accolto la domanda della ricorrente del risarcimento dei danni da liquidare nella misura della retribuzione globale di fatto che la lavoratrice non ha percepito a far data dal 14/1/2006, data del licenziamento, a quella della effettiva riammissione in servizio.

La Corte di merito, infatti, ha del tutto disatteso la motivazione in ordine alla circostanza che, al momento del licenziamento la ricorrente si trovasse nel periodo di puerperio, nonostante che la lavoratrice avesse dedotto e documentato la circostanza.

Al riguardo, infatti tutti i provvedimenti giurisprudenziali della Corte di legittimità sono costanti nell’affermare che il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo ed improduttivo di effetti ai sensi dell’art. 2 della legge 1204/71 –ora D.lg.vo. 151/2001-, e per questo motivo deve ritenersi giuridicamente colpevole il datore di lavoro inadempiente che va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio ed a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno –danno emergente e lucro cessante-.

In materia infatti la Corte Cost. -il Giudice delle Leggi- ha stabilito con sentenza n. 61/91, che la violazione dell’art. 2 della legge n. 1204/71 -ora D.lg.vo n. 151/01- è totalmente improduttivo di effetti comportando la nullità del licenziamento comminato alla donna durante la gestazione o il puerperio

La Corte di merito poi, ha erroneamente applicato l’art. 8 della L. n. 604/66, poiché la disciplina legislativa di cui al D.lg.vo n. 151/01 non fa espresso richiamo alle leggi n. 604/66 e 300/70, pertanto la nullità del licenziamento è comminata quindi ai sensi dell’art. 54 del D.lg.vo n. 151/01 e la declaratoria di licenziamento è del tutto svincolata dai concetti di giusta causa e giustificato motivo previsti dalle normative succitate, prevedendo una autonoma fattispecie idonea a legittimare, in casi estremi e anche in caso di puerperio, la sanzione espulsiva, ossia il licenziamento, ma solo in caso di colpa grave della lavoratrice, proprio perché, in questi casi, non vige il principio di surrogazione dell’azienda nei confronti di nessun operatore sanitario, anche in condizioni di puerperio.

Il rapporto di lavoro, nel caso di specie, va considerato come mai interrotto e la lavoratrice ha diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio.

La sentenza di secondo grado ha, invece, erroneamente ritenuto applicabile, ai fini del risarcimento, anziché l’art. 1223 c.c., l’art. 8 della legge n. 604/66.

La sentenza va pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, che si atterrà a tutti i principi innanzi affermati, provvedendo altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità ai sensi dell’art. 385, terzo comma, c.p.c.

La suprema Corte accoglie quindi il ricorso principale rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, relativamente al ricorso accolto e per la decisione sulle spese del presente giudizio.

Il direttivo AADI

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