Il dirigente delle Professioni sanitarie e sociosanitarie del Polo territoriale dell’Asst di Cremona, Gianmario Pedretti, in un’intervista a La Provincia di Cremona ha spiegato il servizio dell’infermiere di famiglia e comunità.
Lo ha fatto enfatizzando non poco l’aspetto relazionale della cura e l’importanza che, in tal senso, un professionista che gravita nel territorio può avere per i pazienti e per le loro famiglie: «L’infermiere di famiglia e comunità tra i suoi strumenti ha il dialogo, fondamentale nella relazione di cura, e si interfaccia con i medici di medicina generale, oltre che con gli assistenti sociali e tutte le altre figure professionali».
«Questo servizio nato nella nostra Azienda un paio di anni fa – spiega Pedretti – è svolto da colleghi che hanno esercitato per molti anni l’attività professionale in contesti ospedalieri per poi trovarsi a operare in un ambito completamente diverso, le case degli utenti. Hanno trovato situazioni di estrema fragilità e solitudine, talvolta di abbandono.
Del resto l’evoluzione socio-demografica del nostro Paese ci porta ad avere molti nuclei famigliari con due persone, spesso anziane e magari con figli lontani per lavoro. E se non si innesca il bisogno di salute restano sconosciute.
L’infermiere di famiglia e di comunità, spesso su segnalazione dei medici di medicina generale, oltre che di tutta la rete dei servizi che compongono l’équipe territoriale, entra nel contesto domestico facendosi carico non solo del singolo problema ma di tutta la situazione famigliare nella sua complessità.
L’esecuzione di pratiche infermieristiche avviene in un contesto diverso da quello ambulatoriale aprendo confini in termini di tempo e spazio. Ecco perché il tempo della relazione è proprio un tempo di cura».
D’altronde, come sottolineato dal dirigente, «L’articolo 4 del nostro codice deontologico definisce proprio la relazione di cura dell’infermiere con il paziente, e la sua famiglia, un tempo di cura prezioso».
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