L’Infermieristica Moderna si serve di una nuova pillola: l’Evidence Based Practice!

Alexandra Alba 08/12/17
Partiamo da un assioma: l’assistenza infermieristica è una scienza, e come tale deve essere pratica, appurato questo le conseguenze concettuali che ricaviamo sono le seguenti:

  1. la professione infermieristica, per essere correttamente interpretata e dunque svolta, deve fondarsi sulla conoscenza del sapere scientifico, e la messa in pratica dello stesso.
  2. l’assistenza infermieristica, ha bisogno quindi di essere prima pensata, e solo successivamente praticata fattualmente, in qualunque dimensione assistenziale.

Conclusione?

La professione infermieristica moderna ha bisogno di camminare sulle gambe di chi sia consapevole dei due concetti fin ora esposti.

Il “sapere esperienziale” benchè, me ne rendo conto efficace, rapido ed intuitivo, non può prescindere dall’essere orientato al sapere scientifico, ai dettami di procedure, linee guida e protocolli.

Alla stessa maniera, però, teorizzando l’estremo opposto, è auspicabile non dover mai trovarsi di fronte un’impeccabilità teorica che porti ad una pericolosa lacuna nell’ambito del “saper fare”.

Evidence Based Practice = Evidence Based Nursing

La professione Infermieristica si concretizza nel luogo in cui si fonde la teoria con la pratica: l’Evidence Based Practice.

Teoria e pratica devono essere l’uno la diretta conseguenza dell’altro.
Nessuno è depositario esclusivo ed assoluto di tutto il sapere necessario a soddisfare il bisogno di salute del cittadino nella sua globalità, ecco che operare in un contesto d’equipe, non solo è un buon dettame, ma si configura proprio come esigenza.
Utilizzare l’EBP come metodologia dominante delle professioni sanitarie fa sì che vengano raggiunti obiettivi quali:

  • l’esplicitazione conoscitiva delle evidenze che portano ad ogni decisione nella gestione del paziente
  • la forza delle prove di efficacia
  • i benefici ed i rischi delle alternative strategie di gestione
  • il ruolo dei valori e delle preferenze dei pazienti in specifiche scelte terapeutiche

L’infermiere com-partecipa ad una assistenza consapevole ed integrata, teorica e pratica, utile a soddisfare il bisogno di salute, nell’ottica del potenziamento di cura e del contesto organizzativo e normativo.

Qual è la migliore formazione per l’infermiere del futuro?

La risposta risulta banale per quanto è ovvia: l’Evidence Based Practice risulta essere la metodologia ottimale di fare formazione infermieristica.
L’EBP si propone costantemente di organizzare specifici seminari teorici-pratici, i quali seguano l’imperativo della multidisciplinarietà, e che siano aperti ed accreditati nei confronti di tutte le Professioni Sanitarie.

A proposito di formazione:

Mi si consenta però una chiosa finale… ne sento la pruriginosa impellenza!

Abbiamo fin qui esposto come l’infermiere 2.0 deve essere armoniosamente e simmetricamente dotato di sapere teorico e pratico, tuttavia, questo non è haimè sufficiente (qualcuno aggiungerebbe un “neanche lontanamente”) per la sua formazione, la quale deve essere imbevuta di:

  • deontologia
  • etica della cura
  • educazione relazionale
  • e un qualcosa che forse non può essere totalmente appreso né spiegato: l’umanità…

Ora, l’Evidence Based Practice altro non è che uno strumento (parecchio potente aggiungerei) di formazione autogestita, in grado di costruire basi ben salde all’autoapprendimento di ogni professionista sanitario. Quest’ultimo, durante la propria attività si trova nell’impellenza di trovare risposte a domande sollecitate dal caso che sta affrontando:

E’ giusto quello che sto facendo? Ci sono alternative a questo trattamento? Potrei affrontare il piano terapeutico in modo diverso? Come posso migliorare il mio intervento? Posso programmare, dunque prevenire, le reazioni negative o controindicate al trattamento del paziente che sto assistendo?

Il nodo scorsoio al quale volevo arrivare, probabilmente in maniera troppo caotica e poco diretta, mea culpa, è esattamente questo: le domande sopra riportare generano due filoni di pensiero.

Il primo parte dall’assunto che il dubbio è il generatore di ogni conoscenza. Le domande sopra menzionate innescano meccanismi per apprendere e conoscere attraverso uno strumento specifico: l’Evidence Based Practice, il quale fornendo una metodologia operativa consona ad ogni circostanza, permette di trovare le risposte che necessitano all’attività assistenziale di ogni singolo operatore sanitario.

Il secondo filone di pensiero è un po’ più severo e sottolinea puntualmente come, ormai troppo spesso, la ricerca che si propone di fare l’Evidence Based Practice venga confusa con un tipo di ricerca scientifica.

Mentre quest’ultima è un tipo di ricerca sistematica intrapresa per scoprire fatti o relazioni e raggiungendo conclusioni ad hoc, l’EBP si configura come ricerca bibliografica basata sull’identificazione e sul recupero più o meno sistematico della letteratura su uno specifico tema, o per uno specifico obiettivo.

Ambedue i filoni di pensiero però devono stare attenti nel non cadere nella trappola autarchica: il confronto con altre discipline, quelle sopra elencate ne sono l’esempio, non solo è auspicabile, ma diviene obbligatorio dal momento in cui si mira a creare una metodologia trionfante!

Convertire il bisogno di informazione in quesiti clinici

In primo luogo occorre convertire il bisogno di informazione in quesiti clinici ben definiti, a cui è possibile tentare di fornire una risposta. Ai quesiti generici come: – che cos’è la disfagia? oppure – come si gestisce il paziente con lesioni da decubito? non si risponde con l’EBN.

Un tipico quesito ben formulato comprende tre o quattro elementi: il contesto o la tipologia di paziente, il trattamento e l’eventuale alternativa ed, infine, l’esito o risultato. Sarebbe diverso ricercare risposte in relazione alla morbilità piuttosto che alla qualità della vita del paziente.

Ecco un esempio di quesito ben formulato: – in un bambino di 6 anni, le convulsioni febbrili aumentano le probabilità di sviluppare una forma di epilessia? oppure: – in una persona con un’età superiore ai 75 anni, la vaccinazione antinfluenzale riduce la morbilità?

La seconda fase prevede la ricerca delle migliore prove di efficacia disponibili nelle banche dati bio-mediche. In questo caso è importante conoscere, oltre alle modalità di accedere alle banche dati quali Medline o Cinahl, la tipologia di studio da ricercare. sempre sulla base del quesito formulato. Ad esempio, se la ricerca vuole trovare risposte per un quesito su di un trattamento, si dovranno cercare studi rando
mizzati e controllati mentre, se si ricercano risposte a quesiti sulle cause o sui fattori di rischio, si dovranno ricercare studi di coorte o caso-controllo.

Integrare con la metodologia dell’Evidence Based Nursing

Una volta recuperata la miglior letteratura disponibile, che può essere costituita da ricerche originali o revisioni sistematiche o linee guida, la metodologia dell’Evidence Based Nursing aiuta a svolgere una valutazione critica di quanto pubblicato. E’ necessario sottoporre la letteratura ad un’analisi per poter stabilire la qualità dello studio, la completezza delle informazioni, la loro applicabilità al nostro paziente, ecc.

A questo punto rimane la non semplice fase di integrazione di quanto appreso nella nostra pratica clinica e la rivalutazione continua della nostra performance professionale.

 

Continua con:

http://www.dimensioneinfermiere.it/assistenza-basata-sulle-evidenze-come-attuare-ebn/

Alexandra Alba

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