Mancano infermieri? Aumenta la mortalità. A dirlo è la scienza!


La nostra sanità è in chiaro affanno. E tra carenza di personale (in primis di infermieri), operatori in Burnout che vogliono scappare (VEDI) e professioni attrattive come un lavoro in miniera (tra stipendi ridicoli, botte e turni logoranti) la situazione non sembra affatto in procinto di migliorare. Almeno a breve termine.

Il presidente nazionale del sindacato Nursing Up, Antonio De Palma, ha fatto un nuovo punto della situazione al grido di: «Se mancano gli infermieri, aumenta la mortalità dei pazienti»! Riportiamo qui per intero il suo comunicato stampa.

«Gli ospedali congestionati e la mancanza di personale, secondo Science Direct, portano ad un aumento della mortalità dei pazienti che oscilla tra l’8 e il 10%. Le risorse umane della sanità, in primis gli infermieri, sono una delle salvaguardie essenziali per la salute. 


Lo abbiamo confermato apertamente nella nostra recente Assemblea Plenaria di Milano, prima di incontrare i vertici della Regione, dove ci siamo guardati negli occhi, affrontando le problematiche che ci attanagliano da tempo.

La valorizzazione economica e contrattuale degli operatori sanitari, percorso lungo e tortuoso, ben lontano dall’essere portato a compimento, non è solo una sacrosanta aspirazione di professionisti forti di competenze, come i nostri, tra le più alte d’Europa e che quindi chiedono legittimamente di adeguare gli stipendi e le proprie condizioni lavorative agli standard degli altri Paesi del Vecchio Continente.

La sanità del presente e del futuro, per il bene della collettività, deve essere sempre di più “a misura degli operatori sanitari”. L’Oms lo ha ribadito a chiare lettere: prima ancora dei medici, sono gli infermieri e le ostetriche a mancare all’appello, soprattutto perché sono loro le figure di un sistema sanitario, in Italia, come nel mondo, su cui occorre ricostruire le fondamenta della cura dei pazienti, a partire dal pubblico, per arrivare poi al privato. 


Circa 27 milioni di uomini e donne costituiscono la forza lavoro infermieristica e ostetrica globale. Ciò rappresenta quasi il 50% della forza lavoro sanitaria globale. Esiste una carenza globale di operatori sanitari, in particolare infermieri e ostetriche, che rappresentano oltre il 50% dell’attuale carenza di operatori sanitari. Per tanto, e lo ha confermato anche l’Ocse, in Italia e nel mondo, non sono i medici a mancare, ma prima di tutto gli infermieri. 

Affinché tutti i paesi raggiungano l’obiettivo di sviluppo sostenibile 3 su salute e benessere, l’OMS stima che il mondo avrà bisogno di altri 9 milioni di infermieri e ostetriche entro il 2030.

Gli infermieri svolgono un ruolo fondamentale nella promozione della salute, nella prevenzione delle malattie e nell’erogazione di cure primarie e di comunità. Forniscono assistenza in contesti di emergenza e saranno fondamentali per il raggiungimento della copertura sanitaria universale.


Gli infermieri e le ostetriche sono fondamentali per l’assistenza sanitaria di base e sono spesso il primo e talvolta l’unico professionista sanitario che le persone vedono e la qualità della loro valutazione iniziale, assistenza e trattamento è vitale. 

I contenuti di un emblematico comunicato stampa dell’Oms di marzo 2022 si ricollegano ai preoccupanti dati di Science Direct che afferma, senza mezzi termini, che in quei Paesi dove la carenza di infermieri pesa come un macigno, aumentano i netto i dati della mortalità.

Nel contempo, ad aumentare il rischio di decessi sono quei sistemi sanitari che non investono sulle strutture, sulla riorganizzazione, sulla valorizzazione delle competenze di chi, sul campo, può lottare per salvare una vita o offrire la propria assistenza quotidiana a un malato cronico. 


E in Italia, non a caso, la Corte dei Conti ha certificato che in termini di risorse da destinare alla sanità, investiamo molto meno di altri Paesi, oltre a pagare lo scotto, di anni di immobilismo e di austerity. 

Nel contempo, il Covid ce lo ha insegnato, non si affrontano le nuove sfide senza professionisti della salute, non si è in grado di reggere la pressione del congestionamento degli ospedali, così come, nelle fasi cruciali di una pandemia, si sacrifica quella sanità ordinaria, si chiudono reparti nevralgici, si mettono in secondo piano i malati cronici. 

Chi resta sul campo, nel ciclone della disorganizzazione, tra turni massacranti e sindrome di burnout, non può certo offrire il meglio di sé stesso ai pazienti, che pagano a caro prezzo il vortice di carenze. 

Solo un piano globale di riorganizzazione del personale sanitario, e della sua indispensabile valorizzazione, può consentire, al servizio dei pazienti di oggi e di domani, quella indispensabile crescita nella tutela della salute che ogni Paese dovrebbe garantire. Ed è per questo che Nursing Up continuerà le sue battaglie per sensibilizzare le istituzioni al cambiamento».

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Alessio Biondino