Mazzoleni (FNOPI): “Il gap numerico degli infermieri non lo possiamo colmare, servono strategie alternative”


In una lunga e interessante intervista rilasciata a Eurispes (VEDI), Beatrice MazzoleniSegretaria nazionale di FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), ha parlato di diversi temi riguardanti l’evoluzione e il cambiamento della professione infermieristica. Essendo l’intervista molto lunga e gli argomenti molto variegati, abbiamo deciso di pubblicare diversi articoli per riportarne le parti essenziali.


Sulla terribile carenza di professionisti che attanaglia il paese, a domanda diretta (“Sappiamo che in Italia c’è un fabbisogno di 15mila infermieri ogni anno e che se ne laureano tra gli 11 e 12mila ‒ 11mila e 500 l’anno scorso. In che tempi questo gap può essere risolto?”) Mazzoleni spiega: «Questo gap lo abbiamo calcolato negli ultimi anni, prevedendo semplicemente quelle che sarebbero state le uscite.

Il turnover per un certo momento è rimasto fermo prevalentemente per mancanza di concorsi e quindi sembravamo poter mantenere un equilibrio. Lo sblocco, specie dal 2020 in poi, ha allargato questa forbice. È una situazione che purtroppo, vedendo i numeri in nostro possesso, non può essere risolta molto facilmente, proprio per questo disequilibrio creatosi negli ultimi anni e per via della questione demografica.


Tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione italiana, con le relative necessità, e della correlata contrazione delle nuove generazioni, sarà difficile poter giungere a un allineamento. La questione è, adesso, riuscire a utilizzare nel miglior modo possibile i laureati ogni anno e riuscire a farli restare il più possibile in un mondo lavorativo complesso come quello della sanità.

Le ultime ricerche ci confermano che oggi per i giovani di 30 anni facilmente si prevede una linea di lavoro di almeno 45 anni. Su tutto questo impattano la carenza, la competitività, l’attrattività, eccetera. È un sistema in grosso affaticamento e oggi il sistema è sostenuto anche da infermieri provenienti dall’estero».


Fatto sta che oggi mancano qualcosa come 65mila infermieri, ma a breve potrebbero essere il doppio. Cosa fare? «È una risposta che è difficile dare guardando solo alla nostra professione, dobbiamo guardare al sistema e alla popolazione. Partendo dall’assunto che il gap numerico di infermieri non lo possiamo colmare, vanno trovate strategie alternative. È un ragionamento che parte dalla formazione: cercare di mantenere un sistema di qualità, cercare di attrarre il più possibile le giovani generazioni, mantenere un trend di iscrizioni ai test di un certo livello e non scendere sotto gli attuali numeri.

Una formazione che sia di tipo flessibile, che vada incontro alle necessità delle nuove generazioni, approcci formativi che permettano anche al giovane di rendere sostenibile la sua formazione. Poi c’è l’impatto dell’entrata nel mondo del lavoro nel quale è necessario rendere più flessibili i rapporti di lavoro e liberare il potenziale: noi abbiamo degli infermieri che, soprattutto nel pubblico, hanno un rapporto di esclusività.


Questo vincolo di esclusività, che oltretutto non è riconosciuto dal punto di vista economico, dovrebbe essere rimosso…». E poi, ricorda Mazzoleni, andrebbero rivisti i modelli organizzativi.

Insomma c’è tanto, ma tanto da fare. Ad oggi, però, tra lavoratori che arrivano dai paesi del terzo mondo per mettere una toppa (di bassa qualità?) alla voragine creata nei decenni, pericolosi assistenti infermieri creati in fretta e in furia per sostituire (pardon, supportare!) i professionisti veri e Dio solo sa quali altre invenzioni ai danni della professione infermieristica, la strada che si è scelto di intraprendere per favorire la rinascita della nostra sanità non ci sembra tra quelle più lungimiranti.

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Alessio Biondino

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