Mazzoleni (FNOPI): “Riconoscimento sociale dell’infermiere? Dipende dall’infermiere stesso”


In una lunga e interessante intervista rilasciata a Eurispes (VEDI), Beatrice MazzoleniSegretaria nazionale di FNOPI (Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche), ha parlato di diversi temi riguardanti l’evoluzione e il cambiamento della professione infermieristica. Essendo l’intervista molto lunga e gli argomenti molto variegati, abbiamo deciso di pubblicare diversi articoli per riportarne le parti essenziali.


Sul riconoscimento sociale degli infermieri, Mazzoleni ha le idee chiare: «Credo che la comunicazione più potente, lo strumento più forte che ha un infermiere, stia nel momento in cui ci si incontra. Purtroppo, però, quello è un momento in cui la persona ha bisogno.

In quel momento la modalità comunicativa cambia e la percezione dell’infermiere si fa nitida: i pazienti e i familiari, quando incontrano l’infermieristica, capiscono cosa c’è dietro. Credo che anche noi infermieri dobbiamo cambiare la modalità di comunicazione in quanto la storia di subordinazione verso i medici è prettamente italiana.


Nel bene e nel male, gli infermieri possono essere i migliori (o i peggiori) testimonial della loro professione e professionalità. Intendo dire che i cittadini e i media ci vedono spesso così come noi ci percepiamo e ci presentiamo loro. Non serve a nulla rinnegare le origini, se inquadrate in modo corretto».

Un esempio? Ovviamente non poteva non riaffacciarsi, ancora una volta, la signora dell’infermieristica moderna. Già, proprio lei, quella con la lanterna: «La prima infermiera della storia, Florence Nightingale, è adorata, da sempre celebrata a livello mondiale. Gli infermieri italiani le sono un po’ meno affezionati, ma è lei che ha creato, messo insieme la ricerca, l’utilizzo del dato nell’infermieristica.


Ha segnato il cambiamento a metà del 1800. Florence Nightingale è colei che ha affermato internazionalmente un’infermieristica autonoma e responsabile sin dalla nascita. In Italia, invece, l’infermiere nasce su richiesta e necessità del mondo medico, pertanto la professione è stata creata e plasmata come la volevano i medici. La liberazione da questa subordinazione è avvenuta a metà degli anni Novanta.

Sono passati pochi anni ‒ trenta, quest’anno. È comunicativamente, ripeto, che dobbiamo lavorare. Intanto, nella comunicazione diretta, quando ci si trova davanti alle persone e agli assistiti. Dal punto di vista operativo, nella quotidianità, il ruolo dell’infermiere, sebbene rimangano alcuni vecchi retaggi, è diventato chiaro.


È chiaro nei reparti e nelle équipe multidisciplinari che la collaborazione è necessaria. Siamo imbrigliati a doppia maglia: uno non vive senza l’altro. Il livello della formazione è una chiave di questo processo culturale: chi studia di più riesce a comunicare anche a suon di dati, ricerche tra medici e infermieri sulle qualità dei pazienti.

E poi ci sono i banchi di scuola: bisogna far interagire i professionisti già durante la loro formazione. Tu medico ti formi in questa aula, tu infermiere ti formi in quest’altra aula. Due persone e due ruoli separati, ma che devono cominciare a frequentarsi. A un certo punto, dovrete collaborare e lavorare insieme, meglio se vi siete conosciuti prima».

AddText 08 08 09.37.03

Alessio Biondino

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento