Il Mobbing infermieristico che ci spinge a fare quello che non vorremmo fare
Quando puliamo un comodino, quando facciamo una fotocopia, quando nonostante ci sia piena disponibilità di personale di supporto ci siamo ritrovati ad occuparci di mansioni che non giustificavano tutti gli anni spessi a studiare e formarci per diventare dei professionisti.
Ti ribelli e ti rifiuti di pulire i comodini, di rifare i letti e di occuparti delle scartoffie degli altri e scatta il rimprovero da parte dei colleghi, dei superiori e persino il personale di supporto a sempre qualcosa da ridire su quello che devi o non devi fare! Ma alcuni di noi rimangono con un dubbio atavico… La domanda che tutti noi ci siamo fatti almeno una volta nella nostra vita professionale è: “perché lo devo fare io?“.
Giusto o sbagliato che sia, di competenza o non di competenza, ingoiamo ogni giorno il nostro spirito critico in nome di una missione sacra: qualunque cosa per il bene del paziente. Con questa medaglia morale andiamo avanti, fieri e a testa alta, ogni giorno sopperendo a qualunque disservizio e mancanza della struttura.
Il Mobbing si può sconfiggere!
Poi ti capita tra le mani questo testo: “Il mobbing infermieristico” qui il testo su Amazon, edizione Maggioli e ti si apre un mondo!
Il Prof. Mauro di Fresco, Professore a contratto di Diritto del Lavoro Sanitario e Presidente dell’Associazione Avvocatura di Diritto Infermieristico (ADI), esperto di mobbing infermieristico, consulente sindacale e legale è un punto di riferimento nazionale.
Il testo è scorrevole, chiaro, interessante e brillante. Sin da subito, è l’incipit che ti coinvolge nella lettura perché reale e letterario nello stesso tempo, perché parla a tutti noi, ad ogni singolo infermiere.
Perché scopri che qualcuno ha smesso di farsi terrorizzare dai colleghi e dai superiori e ha detto “basta!”. E non ha accettato più ne mobbing ne bossing e in questo modo a cambiato la storia infermieristica:
“Ho subito 10 procedure disciplinari in un anno e le ho vinte tutte perché, durante i 270 giorni di sospensione dal servizio, ho messo mano ai libri di diritto.
“Avevo rifiutato di preparare e portare una tazza di latte ad una paziente perché, secondo il mio parere, era un preciso compito del personale ausiliario.
“Non solo ho scoperto, studiando, che non era mio compito preparare la colazione dei pazienti, ma ho anche scoperto tante altre cose che gli infermieri non devono sapere e chi ci rappresenta e ci dirige non vuole e non può assolutamente dire.”
“Lo farò io al posto loro. Lo scopo è liberarvi dall’ignoranza che vi rende succubi dello sfruttamento. Lo sfruttamento è costituito sostanzialmente dal demansionamento che è garantito, a sua volta, dal mobbing”.
Vittima di mobbing? Mi sa che devi dare uno sguardo a questo volume:
Il bossing è il mobbing infermieristico che viene dall’alto.
È particolare perché segue una strategia naturale nel senso che si realizza secondo dettami legati alla posizione di supremazia che, nella struttura fortemente gerarchica italiana, facilmente degenera in abusi ed eccessi di autorità.
Tra le numerose sezioni quella sul bossing è una tra le più illuminanti. tanto è atavica la subordinazione degli infermieri a tutte le dirigenze e le direzioni (leggi primari, direttori e coordinatori) cosi fortemente legata in maniera definitiva al DNA infermieristico, che leggere:
Preparare il caffè al professore, ridere quando ride il medico anche quando non si comprende la battuta o non c’è nulla da ridere, rifare il letto del medico di guardia, credere e sostenere che il medico di notte debba dormire perché è una guardia passiva mentre l’infermiere è obbligato a stare in piedi perché è una guardia attiva, raggiungere l’anelato traguardo di vita di dare del tu ad un medico, mentre il medico, sovente, si rivolge con il tu, sono retaggi che predispongono i lavoratori ad accettare il bossing.
E’ un respiro di aria fresca, una piacevole sensazione di complicità. Gli infermieri negli ultimi 20 anni hanno raggiunto risultati professionali enormi eppure non abbiamo ancora quella libertà mentale che ci permetta di dire: “No, non lo faccio!“.
I nostri reparti sono piene di storie di grandiosi infermieri ed infermiere che rendevano le loro U.O. posti idilliaci dove medici e infermieri lavorano grandiosamente. Per non scoprire che in realtà quelle storie erano piuttosto favole, se non incubi:
Non dimenticherò mai una caposala che trent’anni fa (e non mi stupirei se ce ne fossero ancora) controllava l’angolo della piega del lenzuolo con una squadra. Quando non era perfetto, trascinava, urlando, il materasso con tutte le lenzuola nel corridoio ordinando di rifarlo. Queste situazioni non solo erano accettate da tutti, compresi i vertici della direzione sanitaria, ma la caposala in questione era additata come una eccellente caposala: “Ce ne fossero come lei, le cose andrebbero meglio”!
Nel senso che gli infermieri filerebbero. Gli infermieri sono sempre stati considerati manovalanza da controllare, gestire, consumare.
Forse dovremmo riconsiderare completamente il concetto di “bravo” infermiere, quanto piuttosto raggiungere un vero status di professionista.
In questo campo ci troviamo, quindi, a combattere non contro dei carnefici, ma contro una cultura che parte dagli infermieri stessi. Gli infermieri che studiano, esplorano altre realtà, anticonformisti e vedono il resto del mondo, devono convincere i propri colleghi più limitati nelle vedute a cambiare mentalità, riconsiderare la professione, il lavoro e l’ambiente, come non è mai avvenuto prima.
Perché troviamo umiliante, il pensiero comune che l’infermiere non possa stare fermo senza fare niente, come durante il tirocinio è capitato più volte di constatare, ritrovandoci nei momenti di calma a dover confezionare tamponi da sterilizzare pur di non farsi mai vedere a non fare niente dai medici.
Nessun infermiere dovrebbe mai essere giudicato dalla geometria dei letti che sistema, quanto piuttosto dalla capacità di recare il maggior beneficio possibile al paziente.
Crediamo che il professionista sia colui che viene pagato per le proprie competenze e non per il proprio tempo. E quando non c’è nulla da fare, se proprio vogliamo fare qualcosa, pensiamo al nostro futuro e a quello che vogliamo raggiungere.
Il bossing è, quindi, una patologia del rapporto di lavoro che miete vittime e non migliora le cose. Non si tratta di screzi sul piano morale o educativo, ma di azioni sistematiche persecutorie finalizzate a indurre la
vittima a lasciare il posto di lavoro, chiedere un trasferimento. Va combattuto e in questo senso il diritto ci aiuta.
Non siamo costretti a subire il mobbing infermieristico e il bossing, l’infermiere ha tutti gli strumenti legislativi per ribellarsi. Uno di questi strumenti è la conoscenza della verità, conoscenza che si acquisisce con la lettura e lo studio, e se proprio dobbiamo consigliarvi un testo, questo è quello che fa al caso vostro:
Autore: Dario Tobruk (Profilo Linkedin)
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