«Napoli, infermieri logorati: altro che “sanità del futuro”, la situazione sta peggiorando!»


Altro che «Al Cardarelli abbiamo 170 infermieri in più e 140 oss in meno», come dichiarato una decina di giorni fa dal presidente della Regione Campania De Luca (VEDI): in realtà, nel nosocomio partenopeo (così come in tutti gli ospedali campani) gli infermieri sono pochi e stremati. A denunciarlo, in un nuovo comunicato (che riportiamo qui di seguito), è il presidente nazionale del sindacato Nursing Up, Antonio De Palma.

«Lo abbiamo definito più volte un gigante dai piedi di argilla, un enorme e vetusto castello di sabbia pronto a crollare al primo soffio di vento: il Cardarelli di Napoli, l’ospedale più grande del Mezzogiorno, vive una delle situazioni più difficili degli ultimi tempi. 


Sembra paradossale, ma gli infermieri e tutti gli altri professionisti che lavorano nella delicata realtà dell’Asl Napoli 1, sono allo stremo, e le problematiche che da anni li affliggono e li tormentano hanno toccato l’apice, rendendo il momento attuale addirittura peggiore, per alcuni versi,  di quello dei duri mesi della Pandemia, quando si lottava per la vita dei pazienti ( e per la propria) ogni giorno.

Gli infermieri e gli altri operatori sanitari sono tornati a manifestare: le ragioni del flash mob, che nelle ultime ore viene messo in atto davanti alla sede dell’ospedale, ha radici profonde, radicate in un passato di immobilismo e austerity, e in un presente drammatico dove la politica regionale e le direzioni che si sono succedute alla guida della struttura, di fatto, non sono state capaci di arginare la voragine.


Stabilizzazione dei precari, carenza di personale giunta all’acme, conseguenti turni massacranti, mancanza di incentivi economici degni di tal nome, e in particolare una situazione a dir poco esplosiva per quanto riguarda il personale del pronto soccorso, e ancora non ultimo il problema delle aggressioni agli infermieri, acuito dall’assenza di un presidio fisso delle forze dell’ordine: sono questi i temi caldi che “ribollono” al Cardarelli di Napoli.

Li conosciamo, li denunciamo da anni, e si tratta di problemi tristemente irrisolti, che sono sempre lì, a peggiorare, giorno dopo giorno ad allargarsi a macchia d’olio.


I nostri infermieri sono stanchi e logorati da quanto sta accadendo, ma non per questo, come sindacato delle professioni sanitarie, abbiamo cercato lo scontro sic et simpliciter, tutt’altro: attraverso i nostri referenti locali stiamo percorrendo tutte le possibilità.

Ed è per questo che, se da una parte stiamo manifestando con i flash mob, per raccontare alla collettività il nostro disagio, dall’altra, in linea con il modus operandi che ci contraddistingue, stiamo cercando il dialogo con i vertici della Direzione, con i quali ci siamo fatti promotori di un incontro, a cui parteciperanno anche altre sigle sindacali, già questa mattina 12 aprile.


E’ naturale che se i nostri coordinatori si renderanno conto che non ci sono margini di cambiamento, saremo i primi ad imbracciare elmetto e spada. Rimaniamo basiti rispetto ad uscite recenti come quelle del Presidente De Luca, che arriva addirittura ad affermare che ci sarebbe un surplus di 170 infermieri rispetto alle necessità della struttura , quando la realtà fattuale vede una carenza di personale, rispetto al reale bisogno, che è sotto gli occhi di tutti.

Ci preoccupa in particolare, tra le tante piaghe che dilaniano la realtà campana, il problema, che abbiamo denunciato più volte, della fuga di personale da un pronto soccorso chiave per la sanità del Mezzogiorno, per bacino di utenza, come quello del Cardarelli. 


Non si tratta solo della necessità del riconoscimento di un più consono trattamento economico, che non va certo riservato solo al personale del pronto soccorso, ma in particolare si deve ricordare che a Napoli, città da un milione di abitanti e in cui gravitano quotidianamente altre 300/400 mila persona tra pendolari e turisti, la rete attuale dei pronto soccorso è assolutamente insufficiente così come lo è il numero di operatori sanitari. Lo dicono autorevoli indagini.

Il 118, parliamo solo di quello napoletano, avrebbe perso 45 professionisti in un anno e mezzo. Ma l’emorragia di operatori sanitari dell’emergenza riguarda anche gli stessi presidi ospedalieri. Non biasimiamo di certo coloro che in questi anni hanno deciso di passare ad altri reparti: siamo però di fronte ad un patrimonio professionale inestimabile che si sta depauperando davanti un’assenza di incentivi e a politiche che non offrono affatto attrattive.


Sia chiaro, poi, che, di fondo, in Campania così come in altre regioni, la realtà dei pronto soccorsi congestionati e incapaci di gestire la portata dei pazienti è non solo legata alla carenza di personale interno, ma anche ad una sanità di prossimità incapace di intercettarne preventivamente e bisogni e di rispondere adeguatamente ed in maniera risolutiva.

Dalla Campania al Molise, il passaggio è breve, siamo davanti ad un altro territorio dove l’Ssn è anche qui “martoriato” dai medesimi problemi. In Molise nel 2021 il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è diminuito di 111 unità rispetto al precedente anno. E’ quanto emerge da un report dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionale (Agenas).


I medici e gli odontoiatri in servizio nel 2020 erano 478, 441 nel 2021. In calo anche gli infermieri: 1.402 nel 2020, 1.328 nel 2021.  Siamo di fronte, tra dimissioni volontarie e fughe all’estero di giovani colleghi, nonché a inevitabili pensionamenti che non sono supportati da un indispensabile ricambio generazionale, ad una situazione che nel nostro Mezzogiorno è davvero “a prova di bomba”. 

La politica nazionale si fregia di discorsi altisonanti circa la ferma volontà di costruire una solida sanità del futuro, con mirati investimenti e piani sinergici, ma sia chiaro che i dati, almeno per ora, confermano che invece di progredire la situazione sta addirittura peggiorando.

Ed è palese, partendo da realtà chiave come Campania e Molise, che ci incamminiamo a passo veloce verso un vicolo cieco, soprattutto perché senza infermieri, quelli che mancano all’appello in tutte le regioni, indistintamente, da nord a sud, non ci può essere assolutamente un domani per la sanità italiana».

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Alessio Biondino