«La medicina psichiatrica mi piace. Il problema è che in queste condizioni non mi sento sicuro». È questo il grido di allarme di uno degli infermieri di psichiatria italiani, che nel giro di pochi anni ha subito ben cinque ferite in seguito alle aggressioni rimediate da parte dei pazienti.
Una sorta di reduce da un campo di battaglia di altri tempi: si è visto fracassare una sedia sulla schiena, fratturare un ginocchio, sbattere contro un muro riportando lesioni a una spalla e ha rischiato di rompersi un gomito (VEDI Il Resto del Carlino).
E le testimonianze dei suoi colleghi non sono da meno: «Un paziente mi ha tirato un idrante in faccia. In quell’occasione ho “vinto” quattro punti di sutura. È un segno che mi resta allo zigomo sinistro».
E ancora: «Una collega è stata tramortita con un colpo di bottiglia al volto. E quanto è caduta a terra, un paziente le ha strappato capelli e una striscia di pelle. E bisogna stare attenti anche a come ci si difende, perché reagire alle violenze di un paziente è vietatissimo. Rischieremmo di essere denunciati».
La paura di rimetterci la vita è oramai una fedele compagna dei turni di lavoro. Un professionista, che ha rischiato di essere strangolato, racconta di come un paziente «ha finto di abbracciarmi e in un attimo mi ha strangolato sbattendomi contro il muro. Sono vivo solo perché era già arrivata la polizia ed è riuscita a liberarmi. Se mi avesse attaccato durante il turno di notte, non sarei qui a raccontarlo».
L’infermiere, che se l’è cavata con una lussazione di primo grado alla spalla sinistra, ha spiegato che quell’utente 24 ore prima «ha sputato in faccia a due infermieri» (VEDI Gazzetta di Reggio). A Correggio, lo scorso 5 dicembre, un energumeno «ci ha sequestrati nella guardiola, tenendoci d’occhio con una spranga di ferro. Al minimo movimento all’esterno, l’uomo dava in escandescenze e abbiamo dovuto tappezzare i vetri con sacchetti neri per oscurare la sua visuale.
La polizia è stata chiamata alle 7 del mattino; è arrivata dopo due ore e ho fatto di tutto per tenere a bada e buono questo paziente, fumando con lui una sigaretta dopo l’altra e aiutandolo a fare pipì in un contenitore per rifiuti organici».
L’amarezza dei professionisti, stanchi, delusi e di fatto abbandonati, non ha eguali in sanità: «Siamo in guerra. Noi infermieri siamo poveri coglioniche fanno il lavoro sporco, senza strumenti e locali adeguati. Amo questo lavoro, nonostante tutto. L’ho scelto io e perdono chi mi ha aggredito, ma io là dentro non ci torno più. Non in queste condizioni».
Essere “bruciati”, oramai, è una pericolosa costante: «Il personale è completamente in burnout. Ogni anno cambiano quasi tutti i colleghi, perché per molti è impossibile restare lì. In ogni turno lavoriamo in quattro infermieri, ora gli uomini sono pochi e capitano turni con tre e a volte quattro donne in servizio in queste condizioni. Ma è chiaro che se scoppia una rissa o c’è un paziente che esce fuori di sé sono i maschi che intervengono».
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