Luca Zanotti, infermiere 33enne del San Luigi di Orbassano e rappresentante sindacale Nursind, ha raccontato a La Repubblica la situazione insostenibile che si ritrovano a vivere i professionisti che lavorano nei nostri pronto soccorso.
Infermieri stremati
Una condizione lavorativa esasperante, che sfora spesso il limite della tollerabilità: “Usciamo dal turno stremati, il ritmo è frenetico e non ci si può distrarre un attimo se si vuole evitare di commettere errori” spiega il collega.
Che continua: “Un nostro collega al San Luigi di recente è stato condannato in primo grado, gli operatori corrono un rischio molto alto. Non possiamo essere noi a pagare il prezzo di una situazione che non fa altro che peggiorare. E se ci sono difficoltà, dopo le 8 ore si prosegue fino a 12 con la reperibilità”.
Le aggressioni
E in questa sorta di incubo professionale, che già basta a maledire il momento in cui si è scelto di lavorare in sanità e a cercare delle scappatoie per poter fare altro, arriva anche la violenza: “Le aggressioni verbali sono all’ordine del giorno e in alcuni casi possiamo comprendere, ma non è colpa degli infermieri se si arriva a una situazione in cui ci sono 50 persone in barella in attesa di ricovero. A volte ci sono anche le aggressioni fisiche”.
Resta soltanto il PS
Di certo, la ‘lezione’ del Covid non ha migliorato la situazione. Anzi l’ha addirittura peggiorata: “Sì, perché l’attività degli ambulatori si è ridotta, i medici di famiglia hanno fino a 1500 pazienti. Resta soltanto il pronto soccorso”.
E quindi i Dea si ingolfano fino all’inverosimile, con decine e decine di persone in attesa: in media “a luglio al San Luigi erano circa 100, non solo in attesa di ricovero ovviamente, ma anche della valutazione.
Un numero enorme se si pensa che gli infermieri che gestiscono le attese di ricovero sono due a cui si aggiunge un infermiere che si occupa delle prenotazioni delle visite”.
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