Come eseguire il prelievo ematico: 5 aspetti che devi sapere

Dario Tobruk 02/01/25

Il prelievo ematico rappresenta una delle procedure infermieristiche più comuni e ricorrenti, con radici storiche che risalgono all’antichità, documentate già ai tempi di Ippocrate. Sebbene la tecnica del prelievo ematico possa essere percepita come una pratica relativamente semplice, è cruciale evidenziare che una parte considerevole degli errori diagnostici in laboratorio si verifica durante la fase preanalitica. Questa fase critica, in cui il ruolo dell’operatore umano è centrale, rappresenta una delle principali fonti di potenziali errori.

Indice

L’importanza di una corretta esecuzione del prelievo ematico

Il prelievo di sangue venoso, essenziale per un’accurata valutazione diagnostica, richiede competenze specifiche non solo per evitare complicanze per il paziente, ma anche per garantire la corretta conservazione e analisi del campione. Per questo motivo, l’attenzione al dettaglio e l’adozione di tecniche validate sono elementi imprescindibili durante l’esecuzione di ogni prelievo ematico.

Gli errori nella fase preanalitica possono manifestarsi in diverse forme. Ad esempio, possono derivare da un’errata identificazione, sia del paziente che del campione biologico prelevato. Questo può portare a risultati diagnostici inaccurati, con potenziali ripercussioni cliniche gravi.

Inoltre, la qualità del campione può essere compromessa da fenomeni come l’emolisi o la coagulazione, che possono alterare i risultati degli esami di laboratorio.

Infine, un altro fattore critico è la quantità di campione prelevato, che deve essere adeguata rispetto al tipo di analisi diagnostica richiesta; un volume insufficiente può, infatti, rendere inutilizzabile il campione e richiedere l’esecuzione di un ulteriore prelievo, con conseguente disagio per il paziente e possibile ritardo nella diagnosi.

La fase preanalitica è cruciale per l’accuratezza della diagnostica di laboratorio e richiede un’attenzione meticolosa ai dettagli da parte del personale sanitario per minimizzare il rischio di errori.

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Esecuzione del prelievo di sangue venoso

L’esecuzione di un prelievo venoso è una procedura delicata che richiede competenza, attenzione ai dettagli e rigore metodologico. Di seguito sono elencate alcune delle buone pratiche infermieristiche che dovrebbero essere seguite per garantire un prelievo venoso accurato e sicuro: la scelta del dispositivo e del calibro, l’identificazione del paziente, la scelta del punto di prelievo, la corretta etichettatura, la corretta procedura di congedo e la risoluzione di eventuali complicanze occorse appena terminato di prelevare il sangue. 

Identificazione del paziente
Conformemente alle linee guida dell’OMS e della Joint Commission, l’identificazione accurata del paziente è un elemento fondamentale nelle procedure mediche e infermieristiche. Questo processo a due fasi prevede, innanzitutto, l’identificazione del paziente come destinatario specifico di un determinato trattamento o prestazione sanitaria.

In secondo luogo, è necessario garantire una corrispondenza precisa tra il trattamento o la prestazione in questione e l’individuo a cui è destinata. Per assicurare un’identificazione univoca e affidabile, è indispensabile utilizzare almeno due metodi distinti di identificazione del paziente, come il nome e cognome accoppiati alla data di nascita. È importante sottolineare che il numero di reparto, stanza o letto non è considerato un metodo affidabile di identificazione e, pertanto, deve essere escluso.

Nel caso di stanze di degenza condivise da più pazienti, le procedure devono essere ulteriormente rigorose per prevenire errori. L’infermiere dovrebbe entrare nella stanza portando esclusivamente le provette destinate a un singolo paziente e procedere al prelievo di sangue di un solo paziente alla volta. Questa pratica riduce al minimo il rischio di confusione o di scambio di campioni, garantendo così l’integrità del processo diagnostico e la sicurezza del paziente.

Scelta del dispositivo
È fortemente consigliato optare per dispositivi che integrano aghi monouso con sistemi di supporto, noti anche come adattatori o “camicie”, dotati di meccanismi di sicurezza. Questi sistemi dovrebbero inoltre essere compatibili con provette sottovuoto (vacuum) per facilitare il processo di prelievo. La scelta tra i vari dispositivi comunemente disponibili nei reparti è oggetto di studio di questo articolo.

L’uso della siringa tradizionale per il prelievo di sangue dovrebbe essere riservato a circostanze eccezionali, come nel caso in cui i dispositivi più moderni non siano disponibili o quando la vena selezionata sia a rischio di collasso a causa della pressione negativa generata dal sistema sottovuoto.

In tali situazioni, è fondamentale modulare l’aspirazione del sangue e limitare il volume prelevato a non più di 20 ml per singola siringa.

Una volta effettuato il prelievo, è essenziale rimuovere l’ago utilizzando strumenti appositi, per evitare il contatto diretto con le mani, e trasferire il sangue nelle provette in modo controllato e graduale. Le provette, i cui codici colore sono associati a determinati additivi o anticoagulanti, devono essere agitate delicatamente per inversione, così da garantire una miscelazione uniforme del campione.

È inoltre imperativo osservare rigorose misure di sicurezza biologica, impiegando dispositivi di protezione individuale (DPI) e seguendo protocolli che minimizzino il rischio di ferite da puntura accidentale. In questo modo, si contribuisce a garantire non solo l’accuratezza della procedura di prelievo, ma anche la sicurezza del personale sanitario e del paziente.

Scelta del calibro dell’ago
Nonostante l’ampia diffusione degli aghi a farfalla, noti anche come “butterfly”, la letteratura scientifica e le linee guida cliniche suggeriscono di optare per aghi retti di calibro 20 o 21 G come prima scelta.

Gli aghi a farfalla dovrebbero essere riservati a circostanze specifiche, come ad esempio quando si devono accedere a vene di difficile reperibilità a causa della loro posizione anatomica o del loro calibro ridotto, o in caso di richiesta esplicita del paziente per motivi di comfort o altre considerazioni personali.

Inoltre, è importante sottolineare che l’uso di ago cannula per il prelievo venoso è generalmente sconsigliato, soprattutto in contesti di emergenza o urgenza.

Sebbene l’ago cannula possa essere comunemente utilizzato in tali situazioni, esiste il rischio significativo che questo tipo di ago possa causare emolisi nel campione di sangue prelevato. L’emolisi può compromettere l’integrità del campione e, di conseguenza, alterare i risultati degli esami di laboratorio. Pertanto, la letteratura scientifica sconsiglia l’uso di ago cannula per il prelievo venoso, al fine di preservare la qualità del campione e garantire risultati diagnostici accurati.

Scelta del punto di prelievo

Nella pratica clinica del prelievo venoso, la scelta della vena da cui prelevare il sangue è un aspetto cruciale che può influenzare sia la qualità del campione sia il comfort del paziente.

Le vene centrali dell’avambraccio, in particolare la vena cubitale e cefalica, sono generalmente considerate le più idonee per il prelievo. Queste vene sono spesso più facili da individuare e accedere, e tendono a essere meno sensibili, riducendo così il disagio per il paziente.

Se le vene centrali dell’avambraccio non sono accessibili o idonee per qualche motivo, la vena basilica o le vene situate sul dorso del braccio rappresentano alternative valide.

Queste vene possono essere un po’ più difficili da accedere, ma sono comunque generalmente adatte per la maggior parte dei tipi di prelievo venoso. In casi eccezionali, quando le vene precedentemente menzionate non sono accessibili, si potrebbero considerare le vene del polso e le vene metacarpali della mano.

Tuttavia, queste vene sono generalmente più piccole e possono essere più sensibili, aumentando il rischio di complicanze come ematomi.

Le vene dei piedi sono considerate l’ultima risorsa per il prelievo venoso e dovrebbero essere utilizzate solo quando tutte le altre opzioni sono esaurite. È importante notare che il prelievo da queste vene è associato a un rischio più elevato di complicanze, come infezioni o formazione di coaguli.

Etichettatura del campione
L’etichettatura delle provette è una fase critica che richiede particolare attenzione per garantire l’accuratezza e l’affidabilità dei risultati delle analisi. È fondamentale che le provette siano etichettate prima del prelievo e non in un momento successivo. Questa pratica riduce il rischio di errori come la confusione tra i campioni, che potrebbe avere gravi conseguenze cliniche. L’uso di sistemi di produzione automatica delle provette e di etichettatura automatica è altamente consigliato per minimizzare ulteriormente il margine di errore.

Questi sistemi automatizzati non solo migliorano l’efficienza del processo, ma anche la sua affidabilità. Con l’etichettatura automatica, le informazioni del paziente e i dettagli del test sono direttamente trasferiti dal sistema di gestione del laboratorio alla macchina di etichettatura, eliminando così la necessità di intervento manuale e riducendo la probabilità di errori umani.

Inoltre, l’etichettatura anticipata delle provette contribuisce a un flusso di lavoro più fluido, permettendo al personale sanitario di concentrarsi sul prelievo stesso e sul benessere del paziente, piuttosto che sulla gestione dei campioni. Questo è particolarmente utile in ambienti ad alto volume di lavoro, come i grandi ospedali o i laboratori di analisi, dove la velocità e l’accuratezza sono entrambe di fondamentale importanza.

Igiene delle mani
Una volta preparato il materiale, l’igiene delle mani e l’uso di guanti monouso sono i successivi passaggi fondamentali nel protocollo di prelievo di sangue venoso. Il fine è quello di minimizzare il rischio di contaminazione e infezione sia per il paziente che per l’operatore sanitario.

Una volta completate queste fasi preliminari, si è pronti per procedere al prelievo. Può capitare, in alcune circostanze che sia necessario rimuovere un guanto per facilitare la palpazione e l’individuazione della vena più adatta al prelievo.

Questa pratica può migliorare la sensibilità tattile dell’operatore, rendendo più agevole la localizzazione della vena ma è necessario sapere che, se si sceglie di rimuovere un guanto per questo motivo, è imperativo reindossarne un altro prima di procedere alla venipuntura per mantenere un ambiente decontaminato.

Questo non solo protegge il paziente da potenziali agenti patogeni, ma salvaguarda anche l’operatore sanitario da possibili esposizioni a sangue e altri fluidi corporei.

Applicare il laccio emostatico
L’uso del laccio emostatico è una prassi consolidata nel prelievo venoso, utilizzata principalmente per facilitare l’individuazione e l’accesso alla vena, nonché per prevenire il collasso venoso durante la procedura.

Tuttavia, è importante notare che in presenza di vene particolarmente grosse, visibili e facilmente palpabili, l’applicazione del laccio potrebbe non essere necessaria e, in alcuni casi, potrebbe addirittura essere controproducente, poiché potrebbe alterare i valori di alcune analisi, che sono condizionati da un eccessiva emoconcentrazione (particolarmente nella misurazione della potassiemia).

Il laccio dovrebbe essere posizionato a una distanza di circa 10 cm al di sopra del sito di prelievo prescelto. La pressione applicata deve essere sufficiente per indurre una stasi venosa che faciliti l’accesso alla vena, ma non così intensa da causare dolore al paziente o compromettere la circolazione arteriosa. 

Un altro aspetto da considerare è la durata dell’applicazione del laccio. È generalmente raccomandato non mantenere il laccio in posizione per più di un minuto, per minimizzare il rischio di alterazioni dei parametri ematici e per evitare potenziali complicanze come la formazione di ematomi o problemi circolatori.

Se per qualsiasi motivo si persiste nel laccio più di un minuto, potrebbe essere consigliato slacciarlo e ripetere l’operazione dopo qualche secondo di attesa e se possibile e non controindicato la richiesta al paziente di aprire e chiudere la mano per aumentare la pompa muscolare del braccio e il relativo flusso venoso.

Disinfezione della sede
L’antisepsi del sito di venipuntura è necessario per minimizzare il rischio di infezioni e contaminazioni durante il prelievo venoso.

L’agente antisettico più comunemente utilizzato per questo scopo è la clorexidina gluconato al 2% in soluzione alcolica. Questa combinazione è efficace nel ridurre la carica microbica sulla pelle, offrendo un’azione antisettica rapida e prolungata.

Per eseguire correttamente l’antisepsi, è importante procedere sempre nello stesso verso durante l’applicazione del disinfettante, con movimenti circolari dall’interno verso l’esterno, per evitare di riportare i microrganismi verso il sito di prelievo.

Questa tecnica aiuta a garantire che l’area sia il più decontaminata possibile prima di procedere con la venipuntura. È altresì importante che la soluzione alcolica sia completamente asciugata prima di effettuare il prelievo. Dopo la disinfezione della cute, è importante attendere almeno 30 secondi prima di eseguire il prelievo ematico. Questo tempo è necessario per consentire all’antisettico di agire efficacemente e per garantire l’asciugatura completa del sito.

Se la disinfezione viene effettuata su una zona con eccessiva sudorazione o umidità, può essere utile prolungare l’attesa fino a 60 secondi per assicurarsi che il prodotto asciughi completamente, massimizzando così l’efficacia del processo antiseptico.

La presenza di materiale antisettico potrebbe entrare in contatto con il sangue durante il prelievo, con il rischio di causare emolisi, ovvero la rottura dei globuli rossi, che potrebbe compromettere la qualità del campione e l’accuratezza dei risultati delle analisi.

Esecuzione della venipuntura
La tecnica di venipuntura è spesso considerata una competenza che si affina con l’esperienza. La letteratura scientifica non fornisce linee guida rigide su questo aspetto, in quanto si riconosce che ogni professionista sviluppa un proprio metodo basato sull’esperienza pratica, che diventa familiare e appropriato per affrontare le specifiche situazioni cliniche che si presentano.

È, però, universalmente raccomandato evitare di accanirsi con l’ago nel sito nel caso di difficoltà nel reperimento della vena.

Questa pratica non solo può causare lesioni ai tessuti circostanti, ma può anche generare un notevole disagio per il paziente e compromettere la qualità del campione di sangue raccolto. Un inserimento dell’ago problematico può, ad esempio, portare alla formazione di ematomi, alterare i valori dei test o addirittura causare infezioni.

In caso di due tentativi falliti di inserimento dell’ago, la prassi suggerisce di lasciare il compito a un collega parimenti esperto. Questo non solo aumenta le probabilità di un prelievo venoso di successo, ma riduce anche il rischio di causare ulteriore stress o disagio al paziente, e allo stesso operatore.

Infatti spesso, un cambio di operatore può offrire una nuova prospettiva e un diverso approccio tecnico che potrebbe risultare più efficace del continuo tentativo di puntura inefficace della vena. Le linee guida consigliano la rimozione del laccio emostatico appena ottenuta la venipuntura e assicurata la raccolta del campione, e in ogni caso, il laccio non andrebbe tenuto per più di un minuto.

Rimozione dell’ago
Al termine della raccolta dei campioni, se ancora presente, si rimuove il laccio, quindi segue l’estrazione dell’ago cercando di mantenere il verso di inserzione (per evitare lacerazioni del tessuto) e si posiziona una garza sterile asciutta chiedendo al paziente di operare una leggera pressione per qualche minuto mantenendo il braccio disteso (e mai piegato). Può essere utile applicare un cerotto per mantenere il batuffolo di garza in sede durante l’emostasi.

Congedo del paziente e fase post-prelievo ematico

Una volta completata la procedura di prelievo venoso, l’infermiere ha una serie di responsabilità post-procedurali che sono fondamentali per garantire sia la sicurezza del paziente sia l’integrità del campione raccolto.

In primo luogo, tutto il materiale utilizzato, come aghi e guanti, deve essere smaltito in modo sicuro negli appositi contenitori per rifiuti pericolosi, al fine di prevenire qualsiasi rischio di contaminazione o infezione.

Successivamente, è essenziale monitorare le condizioni del paziente per identificare eventuali segni di malessere, lipotimia o insorgenza di ematomi, una complicanza non rara. 

Inoltre, l’infermiere è tenuto a registrare la prestazione secondo le procedure standardizzate. Le provette raccolte devono poi essere inviate in laboratorio insieme alle richieste di analisi, seguendo le linee guida e i protocolli definiti dalla struttura sanitaria.

Oltre agli aspetti tecnici e procedurali, è fondamentale sottolineare l’importanza della comunicazione e dell’interazione tra infermiere e paziente. Il prelievo di sangue venoso non è solo una procedura tecnica, ma anche un momento di interazione significativa che richiede un’approccio olistico.

La comunicazione deve essere assertiva, fornendo al paziente tutte le informazioni necessarie e rispondendo alle sue domande in modo chiaro e preciso. L’atteggiamento dell’infermiere dovrebbe essere rispettoso della privacy del paziente e “non giudicante”, creando un ambiente di fiducia e rispetto reciproco.

Gestione delle complicanze del prelievo venoso

Il prelievo ematico, sebbene apparentemente semplice, può presentare diverse difficoltà, specialmente in presenza di vene difficili da individuare o profonde. Errori nell’accesso venoso possono causare stravaso di sangue nei tessuti, con conseguenti lesioni vascolari, ematomi e disagio per il paziente, oltre a compromettere la qualità del campione raccolto.

Per prevenire questi inconvenienti, è essenziale che l’operatore sanitario utilizzi tecniche avanzate di palpazione e visualizzazione, adotti precauzioni post-procedurali, e che il paziente segua attentamente le istruzioni per evitare complicazioni post-prelievo, come la riapertura della vena o lo sforzo del braccio.

Per ridurre il rischio di ematomi e garantire un prelievo sicuro ed efficace, sono fondamentali alcune accortezze prima, durante e dopo la procedura. Comunicare una storia di prelievi difficili o l’assunzione di farmaci anticoagulanti, evitare contrazioni muscolari durante il prelievo e applicare una corretta pressione sul sito dopo la procedura sono solo alcune delle misure utili.

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Rispondere alle domande comuni sui prelievi ematici

Prima di sottoporsi a un prelievo ematico, è fondamentale attenersi a specifiche indicazioni per garantire l’affidabilità dei risultati diagnostici. Domande frequenti dei pazienti come “È necessario rimanere a digiuno?”, “I farmaci possono essere assunti prima del prelievo?” o “L’attività fisica è consentita al mattino?” meritano risposte chiare e precise.

Nel box sottostante, troverete una guida completa sulle buone pratiche da osservare prima del prelievo venoso e sui motivi che le rendono indispensabili. Inoltre, in caso di eventuali errori o dubbi, il personale sanitario saprà valutare se procedere o rinviare l’esame. Proseguite la lettura per approfondire ogni aspetto essenziale di questa procedura.

Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook Instagram)

Fonti e bibliografia essenziale:

Dario Tobruk

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