Pronta disponibilità e pubblico impiego: abusi aziendali a cifre irrisorie

Sono passati più di trent’anni dall’istituzione della Pronta Disponibilità per i dipendenti pubblici. Ma tra abusi, contraddizioni, lacune, regole fatte apposta per essere aggirate e un compenso a dir poco ridicolo, la “reperibilità” (così viene chiamata da tutti) continua a generare malcontento e discussioni tra gli operatori sanitari.

Sono passati più di trent’anni dall’istituzione della Pronta Disponibilità per i dipendenti pubblici. Ma tra abusi, contraddizioni, lacune, regole che sembrano fatte apposta per essere aggirate e un compenso a dir poco ridicolo, la “reperibilità” (così viene chiamata da tutti) continua a generare malcontento e discussioni tra gli operatori sanitari.

Indice dell’articolo:

Che cos’è la pronta disponibilità?


La pronta disponibilità è un disagio cui il dipendente pubblico e la sua famiglia sono soggetti a causa del ruolo che egli ricopre in azienda e della organizzazione interna di quest’ultima.

È un disagio che costringe il lavoratore a rimanere a casa o nei pressi della stessa di domenica o durante gli altri giorni festivi, in attesa di una o più possibili chiamate; un disagio che sveglia lui e la sua famiglia nel cuore della notte con delle telefonate perentorie che lo fanno correre in servizio.

Un disagio che, purtroppo, è anche soggetto a diversi abusi, che è retribuito praticamente una miseria e che ancora oggi è regolato dal lontanissimo DPR 270 del 1987 (VEDI), che lo disciplinò dal punto di vista normativo e retributivo per far fronte alle necessità organizzative dei vari servizi di urgenza ed emergenza ospedalieri.

Tempi e mezzi per arrivare sul posto di lavoro

Nell’articolo 18 comma 1 del suddetto DPR è chiaramente spiegato che “Il servizio di pronta disponibilità è caratterizzato dall’immediata reperibilità del dipendente e dall’obbligo per lo stesso di raggiungere il presidio nel più breve tempo possibile dalla chiamata”.

Niente tempi precisi, quindi, la cui individuazione è stata lasciata dal legislatore ai contratti collettivi e ai regolamenti interni aziendali. Infatti, come riportato nel CCNL del Comparto Sanità 2016-2018 nell’art. 28 (interamente dedicato alla questione pronta disponibilità, VEDI) comma 1, vi è l’obbligo da parte del dipendente “di raggiungere la struttura nel tempo previsto con modalità stabilite ai sensi del comma 3”. Comma 3 che specifica: “Le Aziende ed Enti definiscono le modalità di cui al comma 1 ed i piani per l’emergenza”.

Altresì, non vi è alcuna specificazione circa i mezzi con cui arrivare (in tempo) sul posto di lavoro. Già, perché in pronta disponibilità si è a disposizione, ma non con mezzi o strumenti aziendali.

Di conseguenza, almeno teoricamente, il lavoratore può decidere fra due opzioni: correre in ospedale col proprio mezzo privato (ma il datore di lavoro non è costretto a riconoscere al lavoratore un rimborso carburante, l’usura del veicolo e nemmeno il parcheggio auto all’interno dell’azienda) oppure coi mezzi pubblici (cosa che non garantirebbe l’entrata in servizio in tempi accettabili. E anche qui, comunque, nessun benefit è riconosciuto al lavoratore!).

C’è un numero massimo di chiamate in reperibilità?


No, non c’è: durante la stessa notte, la stessa domenica o il giorno di Natale, si può essere attivati più volte. Quindi si rischia di passare vere e proprie giornate/nottate (i turni possono essere massimo di 12 ore, minimo di 4) di passione, avanti e indietro, come matti, stravolgendo i propri ritmi circadiani e la vita familiare, tristemente consapevoli del fatto che con la misera retribuzione ricevuta non ci si coprirà nemmeno la spesa del carburante per effettuare i viaggi!

La lacuna normativa, infatti, non pone nessun limite al numero di attivazioni previste per turno di pronta disponibilità e ciò crea inevitabilmente delle situazioni paradossali: un servizio, nato per essere a carattere eccezionale, in alcuni periodi può trasformarsi di fatto in routinario, con una o più attivazioni a turno per chissà quanti turni (dovrebbero essere al massimo 6, ma… Sarà davvero così in tutte le aziende?) di reperibilità al mese.

Quante reperibilità si possono fare al mese?


Altra questione importante riguarda il numero di turni in reperibilità che si possono svolgere al mese. In questo, il comma 11 del DPR 270 sembra molto chiaro: “Di regola non potranno essere previste per ciascun dipendente più di 6 pronte disponibilità nel mese.

Eppure anche qui, per diverse strategie aziendali (coprire al massimo il servizio di urgenza/emergenza col minimo personale possibile), con diverse e fantasiose motivazioni, gli abusi si sprecano. Alcuni rappresentanti delle aziende, addirittura, come riportato in diverse segnalazioni ai sindacati, dichiarano che sì il DPR e i CCNL parlano di sei pronte disponibilità nel mese, ma… Che vanno prese in considerazione solo quelle effettivamente lavorate.

E le altre in cui si è vissuto con l’ansia, segregati in casa e pronti a partire? Non vanno prese in considerazione? Ovviamente, pittoresche interpretazioni di questo tipo non servono a null’altro se non a far lievitare i turni di reperibilità (anche 10, 15 o addirittura di più!) a carico del dipendente. A volte, fino a livelli insostenibili.

E se la reperibilità cade nel giorno di riposo settimanale?


Nel comma 6 dell’art. 28 del CCNL Comparto Sanità, è così riportato: “Il servizio di pronta disponibilità va limitato, di norma, ai turni notturni ed ai giorni festivi garantendo il riposo settimanale. Nel caso in cui esso cada in giorno festivo spetta, su richiesta del lavoratore anche un’intera giornata di riposo compensativo senza riduzione del debito orario settimanale”.

Entrando più nello specifico, nella pronta disponibilità passiva (senza chiamata) eseguita nel giorno di riposo settimanale il lavoratore ha diritto, se lo richiede, a un giorno di riposo compensativo; ma “senza riduzione del debito orario”. Perciò deve comunque garantire l’orario di lavoro normale, recuperando le ore non lavorate. Tradotto: chi glielo fa fare?

Una situazione simile è in vigore per ciò che concerne la pronta disponibilità attiva (con la chiamata in servizio): l’azienda “deve” comunque far recuperare al lavoratore il giorno di riposo nella settimana successiva, e ciò anche senza una specifica richiesta del dipendente in quanto diritto “indisponibile”.

Il problema è che, assai spesso, il lavoro prestato in pronta disponibilità attiva non copre l’orario di una giornata di lavoro; per cui, comunque, nella settimana successiva il lavoratore si trova a dover coprire il debito orario aggravando i turni delle altre giornate lavorative. E anche qui ci domandiamo: chi glielo fa fare?

Qual è la retribuzione per la pronta disponibilità?


E arriviamo a quella che rappresenta, con ogni probabilità, la nota più dolente e da cui nascono anche gli abusi: per il servizio di pronta disponibilità è prevista per legge una indennità di 20,66 euro lordi (12 euro netti…!) per ogni turno di reperibilità di 12 ore.

“Elevabile”, come riportato nel comma 7 dell’art. 28 del CCNL Comparto Sanità, “in sede di contrattazione integrativa”. Già, perché nel comma finale dell’articolo 28, è riportato: “Ai compensi di cui al presente articolo si provvede con le risorse del fondo di cui all’art. 80 (Fondo condizioni di lavoro e incarichi).

In base ai modelli organizzativi adottati dall’Azienda o Ente con riguardo alla razionalizzazione dell’orario di lavoro e dei servizi di pronta disponibilità che abbiano carattere di stabilità, si potrà destinare, in tutto o in parte i relativi risparmi alle finalità del fondo di cui all’art. 80 (Fondo condizioni di lavoro e incarichi) ovvero rideterminare l’importo dell’indennità di cui al comma 7 del presente articolo.”

C’è speranza, quindi? Non molta, purtroppo. Una recente sentenza della Cassazione (n. 5417 del 27/02/2020) ha infatti evidenziato come i CCNL succedutisi nel tempo, pur consentendo alla contrattazione integrativa di rideterminare in aumento l’importo dell’indennità di pronta disponibilità, hanno sempre condizionato il riconoscimento di tale maggiorazione alla disponibilità del fondo aziendale destinato a far fronte al relativo onere.

Secondo i Giudici di legittimità, quindi, l’aumento dell’indennità di pronta disponibilità è condizionato alla disponibilità del fondo, che rappresenta, dunque, una condizione sospensiva rispetto alla sua erogazione. Non ci sono i soldi, quindi? Allora niente. Ci sono? Va dimostrato.

Perciò… Ritorniamo alle famigerate e probabilissime 20,66 euro. Il DPR 270, all’art. 18, recita così: “Il servizio di pronta disponibilità va di norma limitato ai periodi notturni e festivi, ha durata di 12 ore e da’ diritto ad una indennità nella misura di L. 33.600 per ogni 12 ore.”

Eh sì, era il 1987 e si parlava di lire. E di tempi, quelli, in cui la lira valeva veramente qualcosina. La cifra riportata, infatti, ovvero quelle 33.600 lire (che furono poi successivamente aumentate a 40.000 lire con la 384/90), per quel tempo era importante e fu scelta per contrastare un eventuale abuso sull’uso improprio della pronta disponibilità da parte delle aziende sanitarie (che altrimenti avrebbero potuto evitare di assumere personale).

Illecito che oggi, a causa dei 30 anni trascorsi e del valore pressoché ridicolo di quelle 40.000 lire di allora (ricordiamolo ancora: 12 euro netti di oggi!) che vengono pagate al lavoratore ogni turno di 12 ore in reperibilità, a detta dei sindacati è in continuo aumento.

Comunque, per chiudere il cerchio sul deprimente discorso retribuzione, va poi ricordato che alle tristi 20,66 euro lorde, in caso di chiamata e quindi di entrata in servizio, andrà poi aggiunto il tempo necessario all’espletamento della procedura urgente, che andrà retribuito come normale attività straordinaria (fa fede la timbratura, la retribuzione non inizia con la chiamata. E anche qui ci sarebbe da discutere…).

Conclusioni


È palese che la disciplina della pronta disponibilità necessiti di una ampia rivisitazione visto che, nel corso dei decenni, è diventato un istituto fondamentale per il funzionamento dei servizi sanitari.

Come è possibile, infatti, che nel 2021 dei professionisti, lavoratori specializzati, che mettono a disposizione il proprio tempo e la propria professionalità durante quelle parentesi di vita quotidiana solitamente deputate al ristoro psico-fisico e alla valorizzazione dei propri legami affettivi (ricordiamolo ancora: di notte e durante le feste) possano ricevere un controvalore insufficiente, irrisorio e offensivo corrispondente a 12 euro netti ogni 12 ore? A quando un sacrosanto adeguamento?

Non sarebbe il caso di ridefinire le modalità di svolgimento della pronta disponibilità e la corretta fruizione dei giorni di riposo, così da non gravare troppo sulla vita degli operatori sanitari che assicurano ai cittadini i servizi di urgenza/emergenza?

Forse è davvero il momento di mettere sotto alla lente di ingrandimento alcuni aspetti vergognosi delle condizioni lavorative di quelli che, fino a non molto tempo fa, sono stati osannati come gli eroi dei nostri tempi.

Autore: Alessio Biondino

Medico e Infermiere reperibili nei giorni festivi hanno diritto al risarcimento…

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Un disagio che, purtroppo, è anche soggetto a diversi abusi, che è retribuito praticamente una miseria e che ancora oggi è regolato dal lontanissimo DPR 270 del 1987 (VEDI), che lo disciplinò dal punto di vista normativo e retributivo per far fronte alle necessità organizzative dei vari servizi di urgenza ed emergenza ospedalieri.”
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La lacuna normativa, infatti, non pone nessun limite al numero di attivazioni previste per turno di pronta disponibilità e ciò crea inevitabilmente delle situazioni paradossali: un servizio, nato per essere a carattere eccezionale, in alcuni periodi può trasformarsi di fatto in routinario, con una o più attivazioni a turno per chissà quanti turni (dovrebbero essere al massimo 6, ma… Sarà davvero così in tutte le aziende?) di reperibilità al mese.”
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Eppure anche qui, per diverse strategie aziendali (coprire al massimo il servizio di urgenza/emergenza col minimo personale possibile), con diverse e fantasiose motivazioni, gli abusi si sprecano. Alcuni rappresentanti delle aziende, addirittura, come riportato in diverse segnalazioni ai sindacati, dichiarano che sì il DPR e i CCNL parlano di sei pronte disponibilità nel mese, ma… Che vanno prese in considerazione solo quelle effettivamente lavorate.

E le altre in cui si è vissuto con l’ansia, segregati in casa e pronti a partire? Non vanno prese in considerazione? Ovviamente, pittoresche interpretazioni di questo tipo non servono a null’altro se non a far lievitare i turni di reperibilità (anche 10, 15 o addirittura di più!) a carico del dipendente. A volte, fino a livelli insostenibili.”
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Entrando più nello specifico, nella pronta disponibilità passiva (senza chiamata) eseguita nel giorno di riposo settimanale il lavoratore ha diritto, se lo richiede, a un giorno di riposo compensativo; ma “senza riduzione del debito orario”. Perciò deve comunque garantire l’orario di lavoro normale, recuperando le ore non lavorate. Tradotto: chi glielo fa fare?

Una situazione simile è in vigore per ciò che concerne la pronta disponibilità attiva (con la chiamata in servizio): l’azienda “deve” comunque far recuperare al lavoratore il giorno di riposo nella settimana successiva, e ciò anche senza una specifica richiesta del dipendente in quanto diritto “indisponibile”.

Il problema è che, assai spesso, il lavoro prestato in pronta disponibilità attiva non copre l’orario di una giornata di lavoro; per cui, comunque, nella settimana successiva il lavoratore si trova a dover coprire il debito orario aggravando i turni delle altre giornate lavorative. E anche qui ci domandiamo: chi glielo fa fare?”
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C’è speranza, quindi? Non molta, purtroppo. Una recente sentenza della Cassazione (n. 5417 del 27/02/2020) ha infatti evidenziato come i CCNL succedutisi nel tempo, pur consentendo alla contrattazione integrativa di rideterminare in aumento l’importo dell’indennità di pronta disponibilità, hanno sempre condizionato il riconoscimento di tale maggiorazione alla disponibilità del fondo aziendale destinato a far fronte al relativo onere.

Secondo i Giudici di legittimità, quindi, l’aumento dell’indennità di pronta disponibilità è condizionato alla disponibilità del fondo, che rappresenta, dunque, una condizione sospensiva rispetto alla sua erogazione. Non ci sono i soldi, quindi? Allora niente. Ci sono? Va dimostrato.

Perciò… Ritorniamo alle famigerate e probabilissime 20,66 euro. Il DPR 270, all’art. 18, recita così: “Il servizio di pronta disponibilità va di norma limitato ai periodi notturni e festivi, ha durata di 12 ore e da’ diritto ad una indennità nella misura di L. 33.600 per ogni 12 ore.”

Eh sì, era il 1987 e si parlava di lire. E di tempi, quelli, in cui la lira valeva veramente qualcosina. La cifra riportata, infatti, ovvero quelle 33.600 lire (che furono poi successivamente aumentate a 40.000 lire con la 384/90), per quel tempo era importante e fu scelta per contrastare un eventuale abuso sull’uso improprio della pronta disponibilità da parte delle aziende sanitarie (che altrimenti avrebbero potuto evitare di assumere personale).

Illecito che oggi, a causa dei 30 anni trascorsi e del valore pressoché ridicolo di quelle 40.000 lire di allora (ricordiamolo ancora: 12 euro netti di oggi!) che vengono pagate al lavoratore ogni turno di 12 ore in reperibilità, a detta dei sindacati è in continuo aumento.

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Alessio Biondino

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