Ed è proprio sull’onda di questi dati che il dott. Paul Pepe, della University of Texas Southwestern Medical Center di Dallas, ha deciso di coordinare uno studio di coorte piuttosto interessante per individuare il ritmo delle compressioni toraciche e la loro profondità ideali, ovvero associate alla massima probabilità di sopravvivenza funzionalmente favorevole (scala di Rankin modificata), dopo un arresto cardiaco extra-ospedaliero.
Lo studio
La ricerca, intitolata “Optimal Combination of Compression Rate and Depth During Cardiopulmonary Resuscitation for Functionally Favorable Survival” e pubblicata lo scorso 14 agosto 2019 sulla rivista scientifica Jama Cardiology, ha portato a dei risultati molto interessanti: una combinazione di 107 compressioni al minuto a una profondità di 4,7 cm costituirebbe il target ottimale per la rianimazione cardiopolmonare.
Il campione di studio, ottenuto utilizzando i dati del database della rete di studi clinici del National Institutes of Health (NIH), ha incluso 3.643 pazienti (età media, 67,5 anni; 64,4% di sesso maschile) che avevano avuto un arresto cardiaco extra-ospedaliero e per cui erano stati simultaneamente registrate velocità di compressione e profondità grazie a dei sensori collegati a defibrillatori e a monitor elettrocardiografici.
La ricerca ha evidenziato che quando i valori di profondità e velocità delle compressioni si tenevano vicini (entro il 20%) ai valori ideali di 4,7 cm e 107 bpm, la probabilità di sopravvivenza era significativamente più elevata (ben il 6,0% contro il 4,3% al di fuori di tale range!). E ciò indipendentemente dal ritmo cardiaco trattato con la RCP, dall’età e dal sesso del paziente o dall’uso o meno di un particolare dispositivo meccanico per le compressioni.
Il commento degli autori
Secondo gli scienziati, consci delle limitazioni della propria analisi e riconoscendo che i suoi risultati potrebbero non essere universalmente applicabili, sarebbe necessario approfondire meglio con ulteriori studi la combinazione ideale per garantire ai pazienti vittime di arresto cardiaco extraospedaliero dei soccorritori meglio addestrati e di conseguenza il migliore outcome possibile.
Gli autori concludono che qualora i loro dati fossero universalmente confermati, la combinazione compressioni/profondità da loro descritta (con un’efficacia del 6% rispetto al 4% di altre “combinazioni”) sarebbe in grado di salvare, ogni anno, diverse migliaia di vite solo negli Stati Uniti.
Alessio Biondino
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