Il referto medico e la persona offesa del reato.
Nel corso delle tante ore impiegate in corsia potrebbe esservi capitato o vi potrà capitare i futuro di imbattervi in coloro i quali hanno subito sulla propria pelle le conseguenze fisiche e mentali del comportamento criminoso di soggetti terzi, le vittime di tali comportamenti sono indicate nel nostro ordinamento come persone offese del reato.
L’autore del reato
Altro soggetto che potrebbe essere stato da voi curato è invece l’autore materiale del comportamento che ha inflitto un danno alla persona offesa, che prenderà a seguito della iscrizione nel registro degli indagati ad opera del pubblico ministero la qualifica di indagato, e successivamente qualora sia esercitata l’azione penale in dibattimento lo stesso assumerà la veste di imputato. Una distinzione che nell’ambito del procedimento penale riveste una fondamentale importanza per il diverso computo di tutele apprestate dall’ordinamento a tale soggetto.
In quali casi scatta l’obbligo di referto medico?
Per i professionisti sanitari che si trovino a dover prestare la propria assistenza ad uno di questi due soggetti (vittima del reato o autore della fattispecie delittuosa) scatta un obbligo di denuncia (obbligo di referto medico) che trova differente disciplina a seconda del caso di specie e del soggetto che ci si pone d’innanzi.
Il referto medico quale particolare forma di denuncia, sarà necessario ogni qual volta la constatazione delle lesioni faccia ipotizzare con buona approssimazione che ci si trovi di fronte ad un delitto procedibile d’ufficio (art 365 c.p). Il soggetto sul quale grava l’onere del referto medico è tenuto a presentarlo al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria entro e non oltre le 48 ore o se vi è pericolo nel ritardo immediatamente.
Professione infermiere: alle soglie del XXI secoloLa maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014. Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore 32.00 € 25.60 € |
La distinzione tra sanitario che lavora nel pubblico o nel privato
Fondamentale in tal senso è una prima distinzione tra professionista sanitario che eserciti in ambito privato o presso aziende pubbliche. Nel primo caso, ad es. per il medico privato, scatta un vero e proprio obbligo giuridico di presentare referto medico qualora si trovi d’innanzi alla persona offesa del reato, al contrario tale obbligo non è previsto nel caso in cui si presti soccorso all’autore del reato.
Il perché di tale fondamentale distinzione attiene al particolare bilanciamento operato dal legislatore tra interesse dello stato alla conoscenza e repressione dei reati e il diritto alla salute garantito dalla nostra Costituzione tramite l’art. 32.
Il legislatore ha infatti voluto operare una scelta di fondo in grado di tutelare la posizione dell’autore del reato il quale, qualora fosse a conoscenza dell’obbligo penalmente vincolante in capo all’esercente la professione sanitaria di presentare referto alla PG o al PM quasi certamente rinuncerebbe al proprio diritto alla salute, ma questa visione si pone in netto contrasto con quella voluta dai nostri padri costituenti che hanno inteso il diritto alla salute come un diritto inviolabile.
Ancora diverso è il quadro per il dipendente pubblico: su quest’ultimo, a seguito della sua qualifica di incaricato di pubblico servizio, grava un obbligo di denuncia-referto medico che deve essere rispettato tutte le volte in cui, nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, si trovi d’innanzi anche all’autore del delitto e non solo di fronte alla sua vittima.
Ecco nello specifico il contenuto del referto a seguito delle disposizioni del codice.
A norma dell’art. 334 comma 2 del cpp, il referto medico indica: “la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell’intervento -inoltre mediante lo stesso si dà notizie che- servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare”
E’ inoltre fondamentale rilevare come l’obbligo del referto cada su più soggetti nell’ipotesi in cui abbiano prestato insieme la propria assistenza sanitaria, art 334 comma 3 cpp: “se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto”.
Giurisprudenza sul tema del referto medico per aggressione
Alcuni riferimenti giurisprudenziali ci permetto di capire nel dettaglio come il giudice valuta l’operato del sanitario che si trovi d’innanzi un soggetto che verosimilmente è autore di un delitto. La Cassazione con la pronuncia n 51780 del 2013 ci dice che occorre che sia accertato “se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere in termini di teorica possibilità, la configurabilità di un delitto perseguibile d’ufficio. Mentre dal punto di vista soggettivo occorre il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto medico, nella consapevolezza, cioè, di trovarsi in presenza di fatti che, sia pure in astratto, possano presentare i caratteri del delitto perseguibile d’ufficio.”
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