Scarsa attrattività della professione infermieristica? Condizioni dei detenuti e rischio suicidiario nelle carceri? Beh, basta leggere l’articolo pubblicato ieri da Il Giorno dal titolo Allarme sanità in carcere: “Un infermiere per 200 detenuti, uno ogni 600 di notte. Per forza il personale scappa” per capire come la politica italiana, da diversi anni a questa parte, stia affrontando con risolutezza ed efficacia entrambi i problemi.
I sindacati dell’Asst dei Santi, ascoltati dalle Commissioni Sanità e Carceri del Pirellone, hanno infatti ricostruito dati inquietanti. Anzi, terribili: vi sarebbe “un infermiere ogni 200 detenuti per turno di giorno, uno ogni 600 di notte, con il supporto di un unico Oss (operatore socio-sanitario)”.
Una situazione aggravata indubbiamente dalla inarrestabile fuga di personale sanitario da tutta la sanità pubblica del post-pandemia, certo, ma che ora sta toccando livelli inconcepibili per un paese civile.
Come spiegato da Andrea Pinna della Fp Cgil, i sindacati hanno ricostruito uno scenario drasticamente «mutato dopo la pandemia, in primis a causa della carenza ormai drammatica, in particolare di infermieri».
La dirigente delle professioni sanitarie aveva rassicurato alla Rsu sugli sforzi per reclutare personale pur «non essendo vigenti né a livello nazionale né regionale requisiti di accreditamento». Sforzi che, evidentemente, non hanno prodotto nulla di buono, costringendo il poco personale a garantire, in maniera pressoché punitiva, l’assistenza nelle carceri. Un incubo, per i professionisti e per i detenuti.
Pinna denuncia: «Recentemente l’assistenza alla palazzina Saidi Opera, con circa 98 pazienti più complessi, è stata esternalizzata a una cooperativa. Abbiamo personale ingaggiato con contratti atipici che lavora insieme a dipendenti della Asst con forte turnover e senza continuità.
Varrebbe poi la pena verificare la presenza e il numero di medici, per la quasi totalità libero professionisti: ci è stato segnalato che parrebbero esserci “fogli terapia“ di taluni reclusi non aggiornati da anni».
D’altronde, con un infermiere ogni duecento detenuti (600 di notte!) «come può essere rispettato il protocollo di prevenzione del rischio suicidiario aggiornato dalla Regione l’anno scorso?» si domanda il rappresentante Cgil.
Il singolo infermiere può davvero preparare e somministrare in sicurezza la terapia (ad esempio antipsicotici) per 600 persone, assicurandosi dell’assunzione da parte delle stesse? Come sottolineato dall’altro sindacalista De Santo, «non è inusuale» che i consigli di disciplina affrontino casi di detenuti scoperti ad accumulare farmaci (da rivendere? Da assumere tutti insieme?).
«Con un infermiere ogni 200 persone, come si fa a controllare?», si chiede la consigliera regionale del Pd Carmela Rozza. Che conclude: «E se succede qualcosa sarà lui o lei a risponderne, non chi l’ha mandato lì, magari per punizione, e magari è un neolaureato. Gli infermieri li dobbiamo trattenere, non farli scappare».
E infatti… Scappano.
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