Oggi è il primo maggio e vorremmo lanciare, oltre che un messaggio di auguri ai tanti lavoratori della sanità pubblica e privata, infermieri in primis, anche un piccolo appello a quanti posseggono la capacità decisionale per riflettere insieme sul futuro della salute pubblica, del sistema e dei professionisti.
Arriva proprio il Primo Maggio, Festa dei lavoratori e del lavoro, la notizia della carenza di professionisti della salute (medici, infermieri, farmacisti, pediatri, OSS, personale del 118 e dei pronto soccorso). Il problema è molto più complesso di quanto possa apparire.
Le cause di questa carenza, che ormai riguarda tutto il territorio nazionale, quindi non solo il Nord Italia, appaiono molteplici. Non è solo l’ambiente ospedaliero e l’assistenza agli acuti ad essere in sofferenza, come è possibile desumere dalle continue e attuali storie di cronaca dei nostri Pronto soccorso o del Servizio di emergenza territoriale 118, ma adesso sono soprattutto il tanto decantato Territorio e l’assistenza domiciliare a vivere enormi criticità e con loro cittadini ed utenti, specie fragili, anziani e super-anziani, cronici, disabili, soli in casa, lontani da strutture sanitarie, ricoverati in RSA e case di riposo, dimessi dagli ospedali, in assenza di servizi sociali e sanitari di prossimità.
In alcune zone d’Italia è evidente quella che viene chiamata desertificazione sanitaria, ossia territori in cui le persone hanno difficoltà ad accedere alle cure a causa, ad esempio, dei lunghi tempi di attesa, della scarsità di personale sanitario o delle ampie distanze dal punto di erogazione delle cure.
Per fare qualche esempio come ad Asti e provincia, dove pare esserci un solo pediatra per 1.813 bambini, rispetto agli 800 previsti dalla normativa, come in Calabria dove l’assenza ai concorsi pubblici di medici calabresi ha costretto la giunta a ricorrere a personale proveniente addirittura da Cuba, o come Federfarma che denuncia l’impossibilità di trovare farmacisti disponibili a lavorare nelle farmacie private, dopo che la Farmacia è stata identificata dalla normativa come luogo dove erogare nuovi servizi (ambulatorio infermieristico per esempio) e una possibile vera e propria articolazione sanitaria sul territorio di estrema utilità per la popolazione localmente.
Mentre si analizzano le diverse cause e concause, la popolazione italiana continua a diventare la più anziana del pianeta con tutte le conseguenti ed ovvie implicazioni; i professionisti sanitari appartenenti a tutti i profili e operanti nelle diverse forme lavorative, nel 2020 osannati come eroi, oggi, a distanza di tre anni, sono praticamente ignorati ed abbandonati a se stessi; l’assistenza territoriale che doveva decollare con la riforma del DM77 è pressoché ferma.
I motivi? Sostanzialmente sono due, il primo più conosciuto e il secondo forse un po’ meno. Da una parte la fotografia proveniente dagli inesorabili e recentissimi dati del report ‘Bisogni di salute nelle aree interne‘, realizzato da Cittadinanzattiva, reperibili su www.alleatiperlasalute.it con cui si denuncia come solo il 16-17% delle Case della Comunità, degli Ospedali di Comunità e delle Centrali operative territoriali previste sarà a breve realizzato, e questo probabilmente a causa dell’insufficienza dei fondi messi a disposizione con il PNRR.
Dall’altra appare evidente che le strutture per funzionare hanno bisogno di formazione e acquisizione di “competenze avanzate e specialistiche” e di relative assunzioni di personale formato ed addestrato ad un nuovo modello organizzativo ed operativo che vede Territorio e Domicilio non più cenerentole di un sistema. Prendiamo l’esempio dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità. Solo tre Regioni in questo momento pare ne abbiano assunti qualche centinaio e tra queste la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana, ma il resto d’Italia?
E i 9.000 Infermieri di Famiglia individuati dalla FNOPI (Federazione Nazionale delle Professioni Infermieristiche) che avrebbero dovuto e potuto apportare un’enorme linfa sul Territorio e a Domicilio e che avrebbero potuto affiancare i medici di medicina generale in attesa di una Riforma del settore, dove sono?
Le strutture per funzionare devono essere popolate, e non da chiunque, ma da quei professionisti che possono garantirne l’ottimale funzionamento. Questo è impossibile senza investimenti. Scarsa attenzione alla formazione, blocco del turnover, taglio alla spesa del personale vanno in direzione diametralmente opposta. In proposito, Cittadinanzattiva dichiara: “Oltre alla carenza di medici in tutta Italia, a causa della desertificazione avvenuta nel tempo, soprattutto per le infrastrutture sanitarie territoriali, mancano anche gli infermieri, dei quali il PNRR parla spesso perché figure prevalenti per certi servizi, come gli ospedali di comunità.“
La programmazione non sembra essere certo l’area che l’Italia predilige in materia sanitaria. Già nel 2021 si sarebbe potuto partire! La pianificazione, a nostro sentire, sarebbe dovuta partire proprio dall’individuazione nazionale di fabbisogni e dall’attivazione precoce dei percorsi di formazione specialistica per immettere subito nel mercato del lavoro professionalità indispensabili per la sopravvivenza del servizio sanitario e per i cittadini in primis.
Accade per l’Infermiere di famiglia e di Comunità, ma accade anche per la formazione integrativa e complementare degli Operatori socio-sanitari ancora ferma al palo e attiva solo nelle Regioni che l’hanno pensata, creando tra l’altro così ulteriori criticità di riconoscimento e armonizzazione delle competenze necessarie nella rete dei diversi professionisti coinvolti.
E a proposito di rete, i professionisti avrebbero dovuto implementare proprio le competenze culturali e scientifiche orientate all’utilizzo della rete, in termini di integrazione dei servizi, integrazione socio-sanitaria, integrazione tra i professionisti, integrazione con le tecnologie disponibili, integrazione tra Ospedali-Territorio e Domicilio.
Interessanti in proposito sono sempre le riflessioni di Cittadinanzattiva: “Il Pnrr ha il potenziale per essere un intervento che innova e rafforza l’assistenza territoriale, ma vanno create connessioni e va irrobustito, con un investimento, quanto già esiste nel territorio, rafforzando la rete tra gli operatori, portando a sistema la medicina digitalizzata per coprire anche aree più remote, fragili e lontane. L’ideale sarebbe che, quando le Case di comunità saranno costruite come struttura, tutto quello che è propedeutico e funzionale per i diritti dei cittadini fosse già realizzato, con un’ottimizzazione e un investimento su ciò che già esiste“.
Da una parte è comprensibile come solo dopo l’emergenza pandemica ci siamo accorti di certe carenze, ma dall’altra è incomprensibile come non si sia sfruttata questa opportunità unica di rilanciare il SSN, partendo proprio dai nuovi bisogni di cittadini ed utenti e dallo spirito di sacrificio e abnegazione mostrato da tutti in sanità. Speriamo che almeno il Primo Maggio porti consiglio!
Autore: Gaetano Romigi (Vicepresidente ANIARTI – Coordinatore e docente Corso di laurea Infermieristica Tor Vergata – direttore scientifico DimensioneInfermiere.it)
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