L’infermiere di fronte al suo errore è una seconda vittima?

Professionisti sanitari ed errori: “cattivi” infermieri e medici o “seconde vittime”?

E’ di recente pubblicazione sul BMJ (British Medical Journal) un editoriale a cura di Melissa Clarkson, Helen Haskell, Carole Hemmelgarn e Patty J Skolnik dal titolo “abbandonare il termine seconda vittima”.

Chi è la “seconda vittima”?

Questo termine fu introdotto nel marzo del 2000 in un editoriale sempre del BMJ da Albert Wu con lo scopo di portare l’attenzione sull’esigenza di fornire supporto psicologico ai professionisti sanitari coinvolti in eventi avversi o errori.

Joint Commission International, la più importante organizzazione di accreditamento all’eccellenza e punto di riferimento per la sicurezza dei pazienti, cosi definisce la “seconda vittima”: professionista sanitario coinvolto in un evento avverso imprevisto, un errore medico e/o un incidente occorso a un paziente, il quale diventa esso stesso vittima nel senso che il professionista sanitario rimane traumatizzato dall’evento.

Conseguenze emotive dell’errore

La reazione emotiva del professionista, che può includere rimorso, ansia e angoscia morale, può avere conseguenze sulla qualità e sulla sicurezza delle cure e dell’assistenza se l’organizzazione sanitaria non ne prende atto e non offre un sostegno al professionista sanitario.

Molti autori in molti studi hanno utilizzato questa terminologia, qualcuno estendendola e includendovi l’organizzazione sanitaria considerata “terza vittima”.

Oggi, nell’editoriale sopra citato, viene richiesto di abbandonare questa terminologia o quantomeno di riflettere sull’appellativo di “seconda vittima” pur non mettendo in discussione la necessità di dare supporto al professionista coinvolto in errore o evento avverso.

Questo perché, secondo gli autori, il termine promuove sottilmente la credenza che i danni al paziente siano casuali, causati da sfortuna o semplicemente non prevenibili.

Questo modo di pensare, sempre secondo gli autori, è incompatibile con la sicurezza dei pazienti e con la responsabilità che pazienti e familiari si aspettano da un professionista sanitario.

Ma, al contrario, abbandonare il termine “seconda vittima” non ci riporta a quella cultura della ricerca del “colpevole” per la quale alcuni cattivi medici e infermieri commettono errori e provocano eventi avversi mentre tutti gli altri sono infallibili? Non è un passo indietro rispetto alla “cultura della sicurezza”, cioè quell’ambiente collaborativo che è presupposto ideale per il miglioramento?

Il tema merita ampia discussione e approfondimento, come infatti dimostrano i contributi di molti autorevoli colleghi sulle pagine del BMJ (qui il link per consultazione).

E’ auspicabile che, utilizzo o meno del termine, professionisti e pazienti/familiari continuino a lavorare insieme per abbattere tutte le barriere ad una vera alleanza e per cure più sicure e di qualità.

Per approfondire

Autore: Filippo Di Carlo

www.studioinfermieristicodmr.it

Se ti interessa l’argomento:

Studio Infermieristico DMR

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