Come evitare le complicanze della sindrome da allettamento

Dario Tobruk 27/10/24
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L’aumento della popolazione anziana è direttamente correlato a una crescita dei ricoveri ospedalieri di lunga durata. La permanenza prolungata nei letti di degenza può, soprattutto negli anziani, causare quel complesso insieme di segni e sintomi che coinvolge vari apparati e funzioni, noto come sindrome da allettamento (o sindrome da immobilizzazione), che si manifesta quando una persona è costretta all’immobilità del letto di degenza o del proprio domicilio per un lungo periodo o per il resto della sua vita.

In questo articolo ci concentreremo sui piccoli, ma essenziali, aspetti della prevenzione dell’allettamento, fondamentali per evitare che questo quadro sintomatologico diventi parte della vita della persona. La prevenzione, infatti, non solo contribuisce a ridurre i costi per il sistema sanitario, ma allevia anche il carico per i professionisti sanitari e per i familiari, che potrebbero essere chiamati a occuparsi del paziente al domicilio, con notevoli difficoltà.

Indice

Le alterazioni psicologiche nell’allettamento

Le cause della sindrome da allettamento sono molteplici e, in genere, riguardano qualsiasi condizione patologica che costringa il paziente a letto, come una frattura del femore, un’emiplegia, uno stato comatoso o anche una grave depressione. Per questo motivo, è fondamentale, quando le condizioni cliniche lo consentono, pianificare una graduale ripresa della deambulazione o, quantomeno, della mobilità residua, attraverso programmi di mobilizzazione precoce specifici e, in alcuni casi, con il supporto della fisioterapia.

L’immobilizzazione prolungata, l’isolamento e, nei pazienti anziani, il trovarsi in un ambiente estraneo e caotico come quello ospedaliero possono inoltre contribuire a una serie di sintomi di natura psicologica spesso descritti come “ospedalizzazione dell’anziano“. Tra questi, confusione mentale, perdita della memoria e della parola, e alterazioni dei ritmi sonno-veglia che possono sfociare anche in stati di grave agitazione psico-motoria.

Di fronte a risorse umane limitate e, in alcuni casi, alla necessità di gestire episodi di delirium, il personale sanitario potrebbe ricorrere, per la sicurezza del paziente, alla somministrazione di sedativi e altri farmaci per prevenire il rischio di aggressioni o cadute. Tuttavia, sebbene questa strategia possa fornire una risposta immediata e di breve respiro, ha spesso un costo elevato sul piano funzionale: i farmaci possono infatti aggravare lo stato mentale del paziente e peggiorare la sindrome da immobilizzazione, creando un circolo vizioso sempre più difficile da interrompere.

Per prevenire questa alterazione dello stato mentale della persona, oltre alla mobilizzazione precoce, dovrebbe essere chiesto ai familiari (o amici, volontari e, se indicato, gli stessi vicini di letto) di intervenire con alcuni semplici interventi di stimolazione cognitiva, tra cui:

  • Dialogare con il paziente, sollecitandolo a parlare di semplici eventi accaduti nel presente per aumentare l’orientamento spazio-temporale (ad esempio, chiedere di un parente che è venuto a trovarlo o di commentare i contenuti del programma televisivo preferito).
  • Sollecitarlo a ricordare vicende del passato per richiamare e riabilitare le funzioni di memoria e di comunicazione (chiedere del lavoro giovanile o delle storie del passato).
  • Non sostituirsi completamente alla persona nelle prime difficoltà a compiere le normali attività quotidiane, ma assisterla o semplicemente supervisionarla affinché sia sempre in grado di compierle (ad esempio, lavarsi la faccia con il sapone, aprire e chiudere il rubinetto dell’acqua, asciugarsi la faccia).

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    Complicanze respiratorie e cardiovascolari nella sindrome da allettamento

    L’allettamento prolungato può provocare complicazioni dell’apparato cardiovascolare e respiratorio. Un’ipomobilità prolungata a letto è spesso causa della formazione di tromboembolie venose. I trombi, coaguli di sangue che aderiscono alle pareti dei vasi e delle valvole, possono staccarsi e, circolando nel torrente circolatorio, ostruire altri vasi comportando un’occlusione del flusso sanguigno correlato al distretto tissutale colpito, come nelle embolie polmonari o nelle trombosi venose profonde degli arti inferiori.

    La mancata mobilizzazione precoce è anche correlata ad un aumentato rischio di bronchite e polmonite. Per questa ragione, la persona deve essere spronata alla mobilizzazione anche se non può scendere dal letto, come ad esempio con una seduta a letto che le permetta di ventilare bene i polmoni e tossire efficacemente per eliminare il catarro che, in stasi nell’albero bronchiale, può essere sede di colonizzazione batterica e quindi di infezioni polmonari.

    L’allettamento e i problemi muscolo-scheletrici

    La mancanza di movimento diminuisce la tonicità del sistema muscolare e altera le articolazioni fino ad anchilosarle (a bloccarle nella posizione più frequente). Per ridurre e prevenire il rischio di questa condizione, una pianificazione di attività quotidiane anche basilari potrebbe essere sufficiente: mangiare a tavola e raggiungere il bagno per le cure igieniche sono solo alcuni dei momenti in cui la persona può riutilizzare i propri carichi muscolari per prevenire la sindrome da allettamento.

    Anche in questo caso, se la persona è in grado di adempiere a queste attività, chi la assiste non dovrebbe sostituirsi a lei, ma limitarsi alla supervisione o all’assistenza. Può essere utile predisporre nell’ambiente circostante presidi che possano aiutare la persona a mobilizzarsi in sicurezza come archetti, presine, corrimani e deambulatori; inoltre, andrebbero rimossi ostacoli e suppellettili che intralciano o mettono in pericolo la deambulazione, come tappeti, comodini o mobilio di piccole dimensioni.

    L’incontinenza urinaria nell’immobilizzazione a letto

    La degenza prolungata a letto spesso comporta anche il problema dell’incontinenza urinaria, ossia la difficoltà o l’incapacità di trattenere l’urina. Le opzioni per gestire questa condizione includono l’utilizzo di ausili come il pannolone o, in circostanze specifiche che vanno sempre valutate dal clinico, il posizionamento del catetere vescicale.

    Tuttavia, se le condizioni del paziente lo permettono, è consigliabile ritardare questi interventi, cercando di promuovere l’autonomia quanto più a lungo possibile. In tali situazioni, è utile incoraggiare il paziente a urinare regolarmente, anche in assenza dello stimolo, utilizzando supporti come la padella o il pappagallo.

    L’alvo irregolare nel paziente allettato

    Nei pazienti costretti a letto per lunghi periodi, la formazione di fecalomi (masse di feci indurite che non possono essere espulse spontaneamente) è un problema comune. Questo fenomeno deriva da un circolo vizioso: l’immobilità favorisce l’inappetenza, portando a un ridotto apporto di cibo e liquidi. Di conseguenza, la persona avverte meno lo stimolo a defecare, con un peggioramento della stitichezza, aggravato anche dal rallentamento dei movimenti intestinali causato dall’inattività fisica.

    Per prevenire questo processo è essenziale garantire un’adeguata idratazione e un’alimentazione regolare, con pasti ben distribuiti nell’arco della giornata. È preferibile rispettare le abitudini di gusto e orario del paziente, proponendo una dieta varia e ricca di frutta e verdura. In presenza di difficoltà di masticazione, si possono offrire alimenti di facile assunzione come carne macinata, formaggi morbidi, uova; solo in casi particolari si ricorre a cibi tritati o frullati, mantenendo il più possibile l’appetibilità dei pasti.

    Se non controindicato, è fondamentale l’assunzione di almeno un litro e mezzo di liquidi al giorno, inclusa acqua o altre bevande. Per pazienti con specifiche patologie, è consigliato consultare il medico per eventuali esigenze dietetiche particolari.

    Le cure igieniche della cute e il rischio di lesioni da pressione

    Assicurare una cura igienica quotidiana e completa è fondamentale per il paziente allettato, ma sicuramente una priorità assoluta riguarda la cura della cute, in particolare per gli anziani. Questo aspetto è cruciale per ridurre il rischio di lesioni da pressione, volgarmente chiamate “piaghe da decubito“. Queste lesioni derivano da necrosi cellulare della cute, spesso innescata dall’immobilità del paziente e dalla compressione prolungata del tessuto molle tra una superficie rigida e una prominenza ossea.

    Le lesioni da pressione sono aggravate da altre complicazioni legate alla sindrome da immobilizzazione, come incontinenza urinaria, alterazioni cognitive e psicologiche (depressione inclusa), malnutrizione e limitata mobilità dovuta a problemi muscoloscheletrici. A questi fattori intrinseci si aggiungono variabili esterne, quali pressione, forza elastica trasversale, frizione e macerazione, che aumentano significativamente il rischio di insorgenza di lesioni.

    Per gestire adeguatamente questo rischio o, nel caso peggiore, trattare una lesione da pressione, è essenziale programmare interventi preventivi mirati. Per ulteriori approfondimenti, potete consultare i nostri articoli correlati:

  • Scale di valutazione del rischio di lesioni da pressione
  • Come fare una valutazione delle lesioni da pressione efficace
  • La disinfezione delle ferite: quale antisettico scegliere?
  • Come detergere un’ulcera cutanea efficacemente: la procedura corretta
  • Come medicare un’ulcera cutanea: esecuzione e procedura
  • Il processo di guarigione delle ferite cutanee e le sue fasi
  • Piano di assistenza infermieristica al paziente con ulcera cutanea

  • Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook Instagram)


    Fonti:

    Dario Tobruk