Decreto Bindi (229/1999): riassunto della Riforma-ter

Dario Tobruk 06/06/16

Il Decreto legislativo 229/1999, conosciuto anche come Decreto Bindi o Riforma-ter, rappresenta un importante passo legislativo compiuto dal sistema sanitario nazionale dalla sua costituzione. Questa terza riforma sanitaria completa il lungo processo di organizzazione e razionalizzazione necessario per ottenere un servizio sanitario nazionale efficiente ed efficace.

Indice

Cosa prevede il Decreto Bindi?

Possiamo sostenere che il concetto riformatore del Decreto Bindi (“Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, a norma dell’articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419″ – Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229) è la ridefinizione dei principi guida in materia di sostenibilità finanziaria del sistema, basata su appropriatezza, economicità ed evidenza scientifica nelle scelte d’uso delle risorse. Ma andiamo con ordine. Con questo articolo riassumeremo i contenuti degli articoli della Riforma Bindi con pochi semplici concetti.

Art.1 della Riforma Bindi modifica l’impostazione generale della precedente riforma: la 502/99
L’articolo 1 della cosiddetta Riforma Ter ridefinisce l’impostazione generale del sistema sanitario sancita dal d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502. Inoltre, vengono ridefiniti i principi di tutela del diritto alla salute, la programmazione sanitaria e i LEA: i livelli essenziali ed uniformi di assistenza.

“Art. 1 (Modificazioni all’articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). 1. L’articolo 1 del decreto legislativo 30 dicembre – 1992, n. 502, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:”

Quindi il Decreto Bindi sostituisce il vecchio Art.1 della seconda riforma sanitaria con il testo che segue:

“Art. 1 (Tutela del diritto alla salute, programmazione sanitaria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assistenza).
1. La tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettivita’ e’ garantita, nel rispetto della dignita’ e della liberta’ della persona umana, attraverso il Servizio sanitario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attivita’ assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attivita’ svolte dagli enti ed istituzioni di rilievo nazionale,[…]”

Appurato che, “Il Servizio sanitario nazionale assicura, attraverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 […]” sono garantiti, nel rispetto della dignità, del bisogno di salute, dell’equità di accesso, di qualità e di appropriatezza ed economicità, a tutti i cittadini sul suolo italiano, le prestazioni assistenziali previste dai livelli essenziali di assistenza.

Quali aspetti prevede il decreto 229/1999?

Tenuto conto del DPEF (Documento di Programmazione Economico-Finanziaria), attraverso il Piano Sanitario Nazionale verranno stabiliti i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per il triennio in corso. Il Piano Sanitario Nazionale definisce i livelli essenziali e uniformi di assistenza che lo Stato garantisce ai cittadini in modo gratuito o con partecipazione alla spesa (ticket). È importante segnalare che, anche in questa terza riforma, non verranno modificati gli strumenti politici per l’apporto di risorse economico-finanziarie destinate al SSN.

“Le regioni, singolarmente o attraverso strumenti di autocoordinamento, elaborano proposte per la predisposizione del Piano sanitario nazionale, con riferimento alle esigenze del livello territoriale considerato e alle funzioni interregionali da assicurare prioritariamente, anche sulla base delle indicazioni del Piano vigente e dei livelli essenziali di assistenza individuati in esso o negli atti che ne costituiscono attuazione. Le regioni trasmettono al Ministro della sanita’, entro il 31 marzo di ogni anno, la relazione annuale sullo stato di attuazione del piano sanitario regionale, sui risultati di gestione e sulla spesa prevista per l’anno successivo. […]

13. Il Piano sanitario regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale. Le regioni, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, adottano o adeguano i Piani sanitari regionali, prevedendo forme di partecipazione delle autonomie locali, ai sensi dell’articolo 2, comma 2-bis, nonche’ delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell’assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale.
[…]

16. La mancanza del Piano sanitario regionale non comporta l’inapplicabilita’ delle disposizioni del Piano sanitario nazionale.”


Come si ricorda nel testo, le regioni hanno titolo legislativo ove non vi sia esclusività dello Stato, quindi nell’art.4 vengono specificate le modalità di gestione politica della sanità e di governo sanitario a livello regionale.

Chi ha introdotto l’Evidence Based Medicine in Italia?

Vengono delineati i necessari limiti economico-funzionali dei servizi sanitari, imponendo un governo clinico guidato e basato sull’evidenza scientifica, nota anche come evidence-based medicine (EBM), integrando così anche in Italia la mentalità della medicina basata sull’evidenza scientifica:

“7. Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2; b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza.”

Da questo momento in poi, sarà l’evidenza scientifica e l’appropriatezza clinica di ogni trattamento a determinarne l’eventuale utilizzo e, di conseguenza, la relativa spesa sanitaria per l’intera collettività. Non vengono, quindi, garantite prestazioni sanitarie che:

  • non rispondono a necessità assistenziali previste dai principi inspiratori;
  • non siano effettivamente efficaci sulla base di evidenze scientifiche o non risultino appropriati per soggetti la cui situazione clinica non corrisponde a quella raccomandata;
  • quando esiste un trattamento che, a parità di risultati, sia più economico.

Quanto dura il Piano Sanitario Nazionale?

Il Piano Sanitario Nazionale ha una durata triennale. Di conseguenza, i crediti ECM (Educazione Continua in Medicina), attraverso i quali vengono stabiliti di volta in volta gli obiettivi formativi dei professionisti sanitari, sono definiti su base triennale, affinché corrispondano agli interessi e agli obiettivi generali del sistema sanitario. Gli operatori sanitari, pertanto, sono tenuti ad attenersi e a conformarsi a tali obiettivi tramite l’obbligo formativo dei 150 crediti ogni tre anni.

9. Il Piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal Governo entro il 30 novembre dell’ultimo anno di vigenza del Piano precedente. Il Piano sanitario nazionale può essere modificato nel corso del triennio con la procedura di cui al comma 5.

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Chi ha reso aziende le USL a seguito del decreto 229/1999?

Gli ospedali vengono definite Aziende secondo il diritto privato e sono tenute al rispetto del vincolo di bilancio. I Direttori generali rispondono direttamente alla regione di appartenenza in base agli obiettivi di governo regionale, pur mantenendo i propri poteri gestionali.

Il collegio dei revisori viene sostituito con il collegio sindacale, che non è più nominato dal Direttore Generale (probabilmente per evitare favoritismi politico-sindacali), ma direttamente da enti interessati al corretto andamento economico e funzionale, quali il Ministero, la Regione e i sindaci coinvolti dal territorio. 

Il collegio, con una frequenza minima di tre mesi, si occupa di riferire a chi di competenza l’andamento della gestione aziendale e di denunciare tempestivamente eventuali situazioni che possano compromettere la corretta gestione finanziaria.

Autore: Dario Tobruk  (seguimi anche su Linkedin – Facebook Instagram)

Dario Tobruk

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