Intervista a Stefania, un’infermiera italiana nel Regno Unito che non ha paura della Brexit
Le notizie allarmanti sono all’ordine del giorno: la Brexit avanza, il 31 gennaio incombe, la preoccupazione degli infermieri stranieri in Gran Bretagna è alta, si preannuncia la catastrofe per il Sistema Sanitario del Regno Unito (NHS), gli stipendi caleranno, i lavoratori oltremanica non saranno più i benvenuti. Ma cosa c’è di vero in tutto questo?
La sanità britannica percepita da Stefania, un’infermiera italiana che lavora in Inghilterra, sembra avere dei risvolti differenti: il racconto della sua vita, le delusioni, le sofferenze, i suoi pensieri, lo sguardo al futuro.
Conviene ancora andare a fare l’infermiere in Inghilterra?
Stefania raccontaci un po’ di te, delle tue prime esperienze lavorative.
Sono nata a Napoli ma ho vissuto a S. Agata dei Goti in provincia di Benevento. Sono infermiera dall’ottobre del 2010. Mi sono laureata all’Università di Pisa ed ho frequentato un Master di primo livello sul “Paziente critico” all’Università di Roma Tor Vergata nel 2012.
Subito dopo la laurea, mi sono iscritta all’IPASVI e aspettando che si bandisse un concorso, ho mandato curriculum in molte strutture, sia pubbliche che private.
Ho iniziato a lavorare nei primi mesi del 2011 per un’azienda privata che forniva presidi per diabetici. In quel caso, lavoravo in alcune ASL a contatto con persone diabetiche ma era più un lavoro d’ufficio. Il contratto di quell’azienda era solo di 3 mesi ma io lasciai prima perché avevo fatto un colloquio di lavoro per un’altra struttura privata nella provincia di Roma e mi avevano assunto come infermiera.
Quella struttura privata mi offrì un contratto di collaborazione esterna, cioè a partita
IVA. Seppur non molto contenta, accettai. Era un inizio. Era un tempo di attesa per nuove esperienze per il futuro. Dentro di me si stava aprendo la speranza e l’entusiasmo, di iniziare a fare un lavoro per cui avevo studiato, investito e che mi aveva interessato per tutto il percorso di studi all’Università.
Nel frattempo, mi ero iscritta anche al Master di area critica, quindi lavoravo e frequentavo il master e in più facevo i tirocini nei reparti accanto ai pazienti critici. Ero pienamente soddisfatta per quello che stavo facendo. Nel 2011 uscì anche un bando di concorso per infermieri ed inviai subito la domanda.
Cosa ti ha spinta ad andare via dall’Italia? Una scelta, necessità o esperienze negative?
Dicevo che la struttura privata in cui lavoravo e con cui avevo sottoscritto il contratto a partita IVA mi rinnovava il contratto ogni anno ma l’unico problema era che ogni anno l’onorario scendeva sempre. Iniziai con 15 euro lordi l’ora, il primo anno. Il secondo anno diventò 12,50 euro lordi l’ora e il terzo diventò 10 euro lordi. Iniziai ad avvertire che rischiavo di indebitarmi più che guadagnarci dal lavoro che facevo. Era un continuo pagare tutto e il mio conto corrente “piangeva” nonostante non mi concedessi stravaganze, ma neanche una semplice pizza.
Successe, poi, che nel dicembre 2013, mia madre si sentì poco bene e fu portata in ospedale. Io stavo lavorando su uno dei miei turni di notte, quando mio fratello e mia sorella mi chiamano e mi comunicano che mia madre stava davvero male.
Io finii quel lunghissimo, quasi eterno, turno di notte, mi misi subito in macchina e guidai fino a casa, facendo un viaggio di circa tre ore. Trovai mia madre davvero male. Era in un reparto di medicina generale e stette lì pochi giorni, poi fu portata in rianimazione. Io cancellai tutti i turni che avevano organizzato per me al reparto.
La coordinatrice che mi chiamava per sapere come stava mia madre. Io rispondevo sempre di trovarsi un altro infermiere se ne avevano urgentemente bisogno, perché io non sarei tornata finché mia madre non stava bene. Non sentivo più il bisogno di assistere altri pazienti quando un’altra paziente era diventata mia madre. Lei era la mia priorità. Lei era quella a cui dovevo dare cura. Lei era la mia vita, il mio respiro ma mia madre morì agli inizi di gennaio del 2014.
Fu il tempo di tornare a Roma a metà gennaio di quell’anno. Presi la macchina, mi misi in viaggio e per tutto il tempo del viaggio tanti pensieri. La coordinatrice che mi aveva già chiamato che mi stava aspettando col nuovo contratto. Dentro di me stava maturando un senso più profondo di responsabilità, di rinunce e investimenti da fare.
Arrivai in reparto, la coordinatrice mi venne incontro e mi abbracciò. Aveva il contratto tra le mani. Io la guardai e non dissi niente. Lei mi guardò e dalla sua bocca uscii uno strozzato “nooo”, dalla mia usci un consapevole “Si”. Ero decisa a cosa dover rinunciare così come ero decisa su cosa dovevo investire: la mia famiglia e me stessa.
Mio padre e mio fratello erano rimasti da soli a casa. Io sentivo di non lasciare da soli loro, in più mia sorella, che era già sposata e aveva una famiglia, e poi non potevo essere da sola io in quel momento di perdita incolmabile. C’era un profondo dolore da elaborare e lo dovevamo elaborare insieme.
È stata la scelta giusta perché, col tempo, il dolore si è modificato in accettazione e così sono nati dentro di noi nuovi obiettivi da iniziare e portare avanti. Mio fratello, che già lavorava da molti anni, decise di sposarsi, io di cercare un nuovo lavoro.
Come si è svolta l’avventura del “reclutamento”?
Fu mio fratello a suggerirmi di inviare dei curriculum in UK perché aveva sentito che si trovava più facilmente lavoro e che, forse, il lavoro era meglio retribuito. Io inizialmente non volevo, ma un giorno, un sabato del mese di maggio di quell’anno, dopo aver preparato la colazione per tutti, mi viene una curiosità. Accendo il computer vado su alcuni dei siti di agenzie di recruitment per infermieri per l’UK e invio un curriculum ad una di queste agenzie. Pensavo: “Tanto non mi chiamano o mi chiamano fra qualche anno e io, forse, avrò già trovato un lavoro in Italia.”
Mi chiamano, invece, per telefono il giorno dopo, che era di domenica, e mi dissero che avevano ricevuto il mio curriculum e che, se ero interessata, c’erano sia Ospedali che Nursing Home che cercavano infermieri per l’UK. Io non capii niente, per un decimo di secondo pensai che era uno scherzo, per un altro decimo di secondo che era una truffa perché di domenica nessun ufficio lavora, ma l’istante dopo misi da parte il dubbio e il pizzico di paranoia e dissi subito: “No, non so parlare inglese … forse” e la voce dall’altra parte rispose “Non c’è problema perché c’è tempo”, “Come c’è tempo? In che senso?” dissi io e poi chiesi quanto tempo ci volesse, la signora dall’altra parte mi disse anche mesi. Quando disse “mesi” mi risollevai un po’. E chiesi: “Quanti mesi?” E la signora disse: “Me lo può dire lei”. Mi veniva da rispondere in modo istintivo “Io? E che ci azzecco io? Voi mi avete chiamato”. Stavo vivendo un momento di poca lucidità dovuta al vortice di emozioni mischiate, aggrovigliate, che cozzavano tra di loro. Ma risposi molto razionalmente: “Possiamo risentirci tra settembre o ottobre?” e lei mi disse: “Ma certamente, allora la chiamo io alla fine di settembre”, così ci salutammo.
Mi diedi quattro mesi per pensare se stare dentro o stare fuori.
Ne parlai con la mia famiglia la quale mi disse di fare quell’esperienza, se mai fosse accaduta. Nel frattempo nell’ottobre 2014 feci la prima prova scritta del concorso per infermieri bandito nel 2011.
L’agenzia di recruitment mi richiamò puntualmente, come stabilito, a fine settembre. Mi diede tutte le indicazioni sui documenti da preparare e le date delle job interview che erano previste in Italia. Io scelsi una data, a Napoli, nel mese di dicembre per una Nursing Home.
Non so perché, ma avevo optato per una Nursing Home perché credevo che in un Ospedale ci sarebbero state più rischi per una che potesse avere delle barriere linguistiche.
A Napoli vennero un gruppo di inglesi, molto formali al primo impatto, ma anche molto gentili ed accoglienti che cercavano in tutti i modi di mettere a proprio agio i concorrenti offrendo tè, caffè, dolci e qualche battuta scherzosa, dimostrando apertamente che sapevano uscire dalla loro formalità facilmente. Venne anche la signora dell’agenzia di recruitment e cercava di incoraggiare tutti.
Facemmo, quindi, il nostro esame, uno scritto, uno orale e subito dopo la job interview e poi tornammo a casa. Tutto in un giorno. Si aspettava solo l’esito degli esami e del colloquio di lavoro. Il giorno dopo la signora della agenzia mi chiamò e mi comunicò che avevo superato la job interview. Il passo successivo fu quello di richiedere online l’application pack dalla NMC (Nursing and Midwifery Council), cioè dall’albo professionale degli infermieri inglesi, per fare l’iscrizione.
Quindi dovetti preparare tutta una serie di documenti da inviare alla NMC, poi, aspettai alcuni mesi prima che la NMC mi diede l’ok per poter iniziare il lavoro come infermiera in UK. L’agenzia mi seguì per tutto il percorso fin quando non iniziai a lavorare in UK.
In quale struttura lavori? Pubblica o privata?
Lavoro presso Hinchingbrooke Hospital ad Huntingdon, nel Cambridgeshire. Ho iniziato a lavorare in una Nursing Home nell’aprile del 2015, quindi in una struttura privata.
Avevo già messo in conto che sarebbe stata una sofferenza questo cambiamento. Sapevo che ogni cambiamento è sofferenza. Anzi, soffrivo già dall’Italia. Ho lavorato per la Nursing Home per undici mesi, poi ho lasciato. Non lo sentivo un lavoro per me, non lo vedevo un lavoro per infermieri, troppe carte da compilare e poca pratica.
In quegli undici mesi che stavo lavorando alla Nursing Home, sono scesa in Italia per fare la seconda prova scritta del concorso bandito nel 2011 ed eravamo quasi a fine anno del 2015. Intanto alla Nursing Home avevo conosciuto una signora di origini italiane che stava in UK da più di quarant’anni. Questa signora mi aiutò ad uscire dalla Nursing Home e poi mi indirizzò a trovare un nuovo lavoro ma questa volta in un Ospedale. Quindi andai sul sito della NHS job e cercai delle “vacancy” disponibili, cioè dei posti vacanti dove si cercavano infermieri per alcuni reparti di un Ospedale.
Feci richiesta per poter fare l’esame e il colloquio di lavoro, mi chiamarono e andai. La job interview è strutturata come un concorso in Italia ma fatto in un solo giorno. Gli esami non sono neanche troppo facili. Uno scritto improntato tutto su casi clinici, una prova di matematica, una prova orale, e poi la job interview vera e propria che consiste nel presentare te stessa e le proprie esperienze lavorative. Dopo quella giornata di colloquio di lavoro aspettai solo l’esito del colloquio. Mi chiamarono dopo un paio di giorni comunicandomi che avevo superato il colloquio e potevo iniziare quando volevo anche in due/tre mesi. Iniziai a lavorare, quindi, ad Hinchingbrooke Hospital nell’agosto del 2016, e dove lavoro ancora oggi.
Per quel che riguarda il concorso in Italia, avevo superato anche la seconda prova scritta ma non riuscii a fare la prova orale in tempo perché quando lo scoprii era troppo tardi per prenotare l’aereo, mi ero focalizzata troppo a cambiare lavoro in UK e persi di vista il concorso in Italia.
Hai trovato forme di agevolazioni nel passaggio di Paese: assistenza amministrativa, fiscale, alloggio?
I miei colleghi italiani che avevano fatto un colloquio per la NHS avevano avuto alloggi
dall’Ospedale gratis per due o tre mesi e la prima settimana di stipendio sul conto corrente per affrontare le prime spese.Per quanto riguarda me, quando sono arrivata in Gran Bretagna, c’è stato il Manager della struttura privata ad ospitarmi a casa sua per i primi undici giorni, e c’era la disponibilità da parte sua di farmi rimanere lì in quella casa. Era una casa grande che condivideva anche con altre persone ma io preferii invece per una nuova sistemazione, allora, lui mi aiutò a trovare una nuova casa ed ad aprire un conto corrente. Poi, anche a me, come ai miei colleghi dell’NHS, accreditarono sul conto corrente bancario la prima settimana di lavoro.
Qual è stato l’iter formativo e linguistico che hai dovuto affrontare?
Non ho dovuto affrontare particolari iter formativi. Prima di arrivare in UK e prima ancora di fare la prima interview, avevo studiato l’inglese sia online sia privatamente, non ho dovuto fare nessun esame specifico. Credo che l’inglese sia stato valutato direttamente durante i colloqui. Nel 2015, non c’era nessun requisito minimo di conoscenza della lingua inglese anche se l’inglese comunque lo dovevi conoscere altrimenti non ti assumevano. Oggi, sembra che bisogna superare un esame di inglese IELTS o OET con un punteggio di B o C+.
Quali sono le differenze nel fare l’infermiere in Italia e nel farlo nel Regno Unito?
Posso dire che una delle differenze che ho sempre percepito, è che in Gran Bretagna gli infermieri sono molto stimati dalle persone al pari di come sono stimati i medici in Italia. In Italia, le vecchie generazioni, guardano ancora l’infermiere come a un portantino o come a uno che esegue gli ordini dei medici, senza alcun valore aggiunto. Non c’è molta informazione riguardo al ruolo infermieristico.
In Inghilterra, invece, c’è molta più consapevolezza su questo ruolo. Gli infermieri li trovi spesso in TV e sui giornali. Attraverso i media, gli infermieri parlano, spiegano, istruiscono e la gente, in questo modo, ne riconosce il valore.
Anche il lavoro in team è molto importante in UK. Medici, infermieri, fisioterapisti, terapisti
occupazionali, managers, qualche volta discharge planning team ogni giorno si riuniscono e
pianificano per ciascun paziente, ognuno per il suo ruolo.
Questo lavoro in team lo trovo molto stimolante perché tutti sono coinvolti. Un’altra differenza, non so se sia meglio o peggio, è che in Gran Bretagna si lavora su turni di 12 ore al giorno per 3 o 4 giorni a settimana (ma non in tutti i reparti). In più, si possono fare turni bank o overtime i quali vengono pagati di più. Un’altra significativa differenza è la carriera. In Italia sembra molto difficile avanzare di carriera mentre in Gran Bretagna è più facile. Ci sono molte posizioni da poter occupare. Si parte da un band 5, poi Senior band 5, per poi diventare un band 6 (Deputy Manager), e poi un band 7 o 8 che sono posizioni più manageriali ma anche band 9.
Trovi anche numerosi Nurse specializzati, come il Diabetic Nurse, il Respiratory Nurse, il Pain Team, il Critical Care Outreach Team (CCOT), il Tissue Viability Nurse (TVN), il Palliative Nurse, il MacMillan Nurse, il Mental Health Nurse etc.
Ovviamente, più si avanza di livello, più sarà alta la retribuzione.
In Italia ugualmente ci sono infermieri specializzati ma è più difficile trovare spazio per fare un lavoro nell’ambito in cui si è specializzati.
Quali i pro e i contro? È solo questione di stipendio, di organizzazione o cos’altro?
Non saprei rispondere a questa domanda in modo preciso, non ho termini di paragone sufficienti per poter dire è organizzato meglio qua o là. Ci sono eccellenze sia in Italia che in UK e sia in Italia che in UK ci sono modelli organizzativi sanitari diversi a seconda della regione o del trust in cui si lavora.
Uno dei vantaggi in Gran Bretagna, come dicevo prima, è l’avanzamento di carriera e, quindi, di conseguenza anche un avanzamento di stipendio. La retribuzione di un infermiere inglese è mediamente più alta di quella italiana. In più ci sono i bonus per i sabati e per le domeniche e per i Bank holiday, e se sei un infermiere permanent puoi fare anche i turni Bank, cioè turni extra, organizzati da te per coprire la carenza di staff. Se sei permanent e ti chiedono di fare gli overtime, questi vengano pagati ancora di più di un turno Bank, ovviamente, in UK, non danno la tredicesima come in Italia.
Si fanno, poi, molti corsi di formazione, alcuni sono obbligatori e l’Ospedale ti paga per ogni corso frequentato.
Come professionista italiana, sei stata bene accettata dai tuoi colleghi inglesi?
Io personalmente non ho avuto nessun problema con i colleghi inglesi, anzi la mia percezione è quella che ci stimino molto, sia colleghi che pazienti. Sento parlare molto bene dell’Italia dagli inglesi. Gli inglesi sembrano che amino tutto dell’Italia. Ogni volta che mi chiedono di dove sono e rispondo che sono italiana, fanno sempre un grande sorriso e le frasi più comuni che sento dire sono: “Ooh, I love Italy, I love Italian food, I love Italian people, I love your buildings, I’ve been …(somewhere) and was amazing, was wonderful, Italians are very clever and romantic people”.
Ne parlano sempre con positività nonostante conoscano i nostri problemi.
Poi i feedback che riceviamo dai pazienti, dai colleghi, dagli studenti sono molto importanti, ti permettono di vedere meglio quali sono le tue potenzialità e le tue carenze, sono importanti per poter continuare e migliorare.
Posso dire che noi italiani siamo molto bravi nelle conoscenze cliniche, nella tecnica, nella pratica infermieristica, e questo è apprezzato dagli inglesi. Noi italiani, come gli spagnoli, ci ritroviamo spesso a fare da coach, o meglio da istruttori ai neolaureati inglesi i quali sanno meno di clinica e poco di pratica. Gli infermieri neolaureati inglesi hanno una formazione più manageriale e di leadership, la praticità la acquisiscono una volta ottenuto il lavoro. È il trust che ti forma a livello pratico e non l’Università.
Di contro, gli infermieri inglesi possono insegnare a noi italiani, le leggi, le policy, il coordinamento, tutto quello che riguarda il management.
Possiamo conoscere i tuoi progetti futuri? Hai pensato a sviluppi di carriera, o ad una vita stabile in Inghilterra?
Sono tre anni e mezzo che lavoro ad Hinchingbrooke Hospital e l’anno scorso la Manager del mio reparto mi aveva chiesto più volte di applicare per un avanzamento di carriera, da band 5 a band 6, cioè a Deputy Manager. Io non ho voluto allora perché eravamo in una fase di cambiamento radicale del reparto. Dal settembre 2018, il mio reparto di chirurgia e traumatologia acuta, fu trasformato in un reparto di gastroenterologia ed endocrinologia. Io non mi sentivo sicura di prendere una responsabilità così grande. Nessuno ancora sapeva, a quel tempo, cosa sarebbe stato o come sarebbe stato questo nuovo reparto. Quel cambiamento fu una sfida per tutti per lunghi mesi ma poi è diventato un reparto più definito, più organizzato. Oggi sono una Senior band 5 ma molto spesso, noi Senior band 5, ci troviamo ad avere comunque la funzione di band 6 quando uno dei band 6 non lavora sul turno. Questo per dire che gli sviluppi di carriera sono veloci.
Per adesso, i miei progetti futuri sono quelli di continuare a lavorare qui, in questo Ospedale, nel mio reparto. Sto imparando tante cose, soprattutto sul management. Per il momento, l’unico progetto è quello di continuare su questa strada. Non mi sto annoiando e sto apprendendo quello che non conoscevo prima e sento, anche, che ci sono ampi margini di miglioramento della mia professione.
Consiglieresti a colleghi italiani questo cambio drastico? Solo come esperienza o in modo stabile?
Se si ha la forza, la resistenza, la costanza, l’ambizione e la curiosità di apprendere da altre fonti, da altre culture, consiglio questa esperienza. Bisogna avere una grande capacità di adattamento perché cambiamenti così drastici sono sempre delle sofferenze.
Cosa pensi delle notizie sull’impatto negativo che avrebbe la Brexit sul NHS? Si parla di molti posti a rischio, stipendi ribassati, e uno scenario apocalittico per il Sistema Sanitario britannico. Cosa si percepisce sul “campo”? In poche parole, conviene ancora fare l’infermiere in Inghilterra?
Io, per adesso, in Gran Bretagna non sento tutto questo allarmismo. Sembra sia più l’Europa allarmata che la Gran Bretagna. Arrivo in Italia e sento parlare la gente comune della Brexit come una catastrofe per l’UK; sono in UK e la gente comune ne parla poco o niente e “l’aria apocalittica” che si avverte in Europa per l’UK, in UK è pari a zero. Poi se si dovesse verificare l’apocalisse economico-finanziaria si vedrà col tempo, nessuno lo sa.
Il poco che ho sentito dagli inglesi riguardo alla Brexit è che sono stufi che la si rimandi sempre ma non perché sono razzisti o cosa ma perché sono stufi dell’Europa che impone, dell’Europa dell’austerity. Austerity dettata soprattutto dal potere franco-teutonico la quale non ha fatto altro che penalizzare anche l’economia ritannica.
Gli inglesi non sono mai entrati completamente in Europa tanto è vero non hanno mai cambiato la loro valuta. Per quanto riguarda noi infermieri italiani residenti in UK, in vista della Brexit, abbiamo dovuto fare un “settlement state” al governo inglese dove si richiede di poter rimanere in UK per i prossimi 5 anni per motivi di lavoro e dopo i 5 anni ci si potrà candidare a richiedere la cittadinanza inglese.
Se convenga ancora fare l’infermiere nel Regno Unito? Io, oggi, direi ancora di si.
Ringraziamo Stefania per questo suo racconto di vita a dir poco coinvolgente, dal quale traspare semplicità, passione nell’affrontare le sfide della vita e lungimirante tenacia. Invitiamo i lettori a contattare la nostra redazione per eventuali chiarimenti sulla vita lavorativa nel Regno Unito, li metteremo in linea diretta con Stefania che saprà rispondere ai loro dubbi.
Autore: Giovanni Trianni (Linkedin)
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