Oltre a ciò, i giudici del lavoro confermano il buon operato dell’Asl Lecce che ha sempre correttamente retribuito il lavoro prestato dai propri collaboratori”.
Le 4 sentenze a sfavore dei ricorrenti
È così che l’Associazione Giovani Amministrativisti salentini, come riportato da alcune testate locali, ha commentato quattro recenti sentenze della sezione Lavoro della Corte d’Appello e del Tribunale di Lecce con cui sono stati rigettati i vari ricorsi sulla questione ‘vestizione/svestizione retribuita’ presentati dagli operatori sanitari contro l’Asl salentina.
Praticamente, secondo tali pronunciamenti, il tempo impiegato per indossare la divisa aziendale e per toglierla al termine del turno di lavoro non deve essere ulteriormente pagato agli infermieri, ai fisioterapisti e agli altri operatori sanitari della Asl.
Nelle sentenze è stata ritenuta valida la motivazione e congrua la modalità di organizzazione assunta dalla Asl di Lecce nell’ambito dei cambi di turno e in particolare il sistema di “parametrizzazione oraria con accavallamento di 15 minuti, tra turno smontante e montante, per consentire al dipendente di effettuare le attività prodromiche alla prestazione”.
Se il ‘cambio divisa’ è compreso nell’orario di lavoro…
I ricorrenti ritenevano che l’attività di vestizione e svestizione non fosse mai stata retribuita in quanto da loro giudicata non compresa nell’orario di lavoro, ma i giudici della Corte d’Appello e del Tribunale del Lavoro di Lecce hanno invece aderito alle tesi dell’Asl di Lecce: “Per i turnisti di 24 ore, la Asl ha da tempo previsto una sovrapposizione di 15 minuti per scambio consegne, nel quale è ovviamente inclusa l’attività di vestizione, in quanto lo scambio di consegne non può che avvenire una volta effettuata l’attività di vestizione stante la peculiarità delle mansioni rivestite; mentre, per i turnisti di 12 ore, non vi sono prove per ritenere che le ricorrenti dovessero trovarsi già con la divisa da lavoro indossata all’inizio del turno di lavoro.”
È qui che, praticamente, che la Asl salentina ha vinto: se il ‘cambio divisa’ è compreso nell’orario di lavoro, non va retribuito a parte (a dirlo sono diverse sentenze della Cassazione). E “Il concetto di ‘tempo tecnico’ di 15 minuti, considerato come destinato al passaggio di consegne” tra un turno e l’altro, così come prevede l’organizzazione dell’Asl leccese, “non può che ricomprendere quello della vestizione/svestizione”.
I precedenti
La recente giurisprudenza in materia è piuttosto ricca e praticamente sempre a senso unico in favore dei sanitari). Nel dicembre 2020 la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza in primo grado per il riconoscimento dello straordinario per il tempo di vestizione/svestizione di 30 minuti al giorno a favore di un infermiere della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma.
Nel settembre del 2020 il Tribunale di Bari è stato dello stesso avviso, con una sentenza (VEDI) che ha ricordato come “L’orientamento della giurisprudenza di legittìmità, dunque, pur con definizioni non sempre coincidenti, essendosi fatto riferimento, in alcuni casi al concetto di ‘eterodirezione implicita’, in altri all’obbligo imposto dalle superiori esigenze di sicurezza ed igiene, discendente dall’Interesse all’Igiene pubblica, in altri ancora all’esistenza di ‘autorizzazione implicita’, è saldamente ancorato al riconoscimento dell’attività di vestizione/svestizione degli Infermieri come rientrante nell’orario di lavoro e da retribuire autonomamente, qualora sia stata effettuata prima dell’inizio e dopo la fine del turno.”
A seguito di un contenzioso tra alcuni infermieri e un’Asl abruzzese, la Corte di Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza 17635/2019, ha riconosciuto che il ‘tempo tuta’ l’Asl lo deve pagare.
E poi ce ne sono state altre della Suprema Corte, sempre a favore dei ricorrenti: le 19358/2010, 15492/2009, 15734/2003 dicono che il sanitario non va retribuito solo ove sia lui a decidere come e dove vestirsi, ma se a decidere è il datore di lavoro, il sanitario si presume ‘eterodiretto’ e la sua vestizione rientra nel lavoro effettivo.
La Cassazione sottolinea un aspetto importantissimo: più gli indumenti sono ‘specifici’ e cioè diversi da quelli usati secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento e meno vi è il dubbio che si tratti di tempo-tuta ‘eterodiretto’.
Altri vagiti del Supremo Collegio (3901/19, 12935/18, 27799/17) affermano poi che le attività di vestizione e svestizione sono svolte nell’interesse dell’igiene pubblica e non del datore di lavoro. Tali attività s’intendono autorizzate dall’Azienda stessa dando diritto alla retribuzione “anche nel silenzio del contratto collettivo integrativo”.
Una retribuzione che, se non s’intende ricompresa nel contratto di lavoro, va pagata a parte.
Autore: Alessio Biondino
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