Dopo aver ottenuto il Ph.D alla Normale di Pisa, Rudy Ippodrino è diventato direttore scientifico di Ulisse BioMed. Insieme alla collega e normalista Bruna Marini ha creato il primo test non invasivo disponibile in farmacia per diagnosticare il Papilloma virus umano (Hpv). Lo abbiamo intervistato per saperne di più.
In questo paese viene spesso dato poco spazio, anche giornalisticamente parlando, alle eccellenze italiane. Eppure, questo non è solo il paese dei dibattiti politici di bassa fattura e dei cervelli che fuggono a gambe levate… è d’accordo?
Eh sì, questo è un tema su cui mi trova decisamente d’accordo. Ma non è sempre così…
Devo dire che, qui in Italia, ci sono realtà dove l’innovazione comincia a galoppare. Una di queste è Trieste, eletta capitale europea della scienza del 2020: è infatti stata scelta per l’organizzazione di ESOF 2020, la più rilevante manifestazione europea focalizzata sul dibattito tra scienza, tecnologia, società e politica.
Quando ho parlato ai miei colleghi statunitensi dei finanziamenti e grant europei ottenuti qui in italia sono rimasti increduli. Non solo, molti servizi relativi alla proprietà intellettuale, regolatorio, design e marketing hanno un rapporto qualità-prezzo unico nel nostro paese.
Posso parlare sinceramente? Non ho trovato e non trovo molti motivi per andarmene via da qui anche se nella vita non si può mai sapere.
Chi è il dott. Rudy Ippodrino? Ci parli in breve del suo percorso.
Sono nato a Spezia. Provengo da una famiglia di avviatori, scienziati e pensatori. Mia madre era infermiera, ci tenevo a dirlo. Voi infermieri avete un ruolo importante e che io rispetto molto; anche perché siete voi che state lì, a stretto contatto con chi sta male e ha bisogno di aiuto. Tornando a me, ho frequentato il liceo scientifico Antonino Pacinotti e dopo ho deciso di iscrivermi all’università orientando la mia scelta verso lo studio della biologia molecolare. Ho fatto il triennio a Siena ed il biennio a Firenze.
Perché proprio la biologia molecolare?
Ho sempre desiderato di avere la possibilità di impattare positivamente sulla salute delle persone mediante invenzioni inerenti al campo medico, biologico e farmacologico. Non è stato e non è facile farlo, ma qualcosina siamo riusciti a combinare e sono veramente soddisfatto di questo.
In una realtà come questa, ci sono stati momenti duri, ma adesso che siamo arrivati al prodotto e sono molto felice.
Aspetti, torniamo indietro. Eravamo arrivati alla fine del quinto anno d’università. Poi…?
Dopo l’università ho partecipato alla selezione per il Perfezionamento (dottorato) alla Normale di Pisa e sono riuscito ad entrare. Ho speso il primo anno di dottorato a Pisa con il prof. Arturo Falaschi ed il Dr. Alvaro Galli (presso il Dipartimento di Fisiologia Clinica), mentre i restanti quattro all’ICGEB di Trieste, nel laboratorio di Medicina Molecolare del prof Mauro Giacca. In ICGEB mi sono occupato di terapia genica. Infatti, il progetto di dottorato riguardava il potenziamento di alcuni vettori virali utilizzati per veicolare i “geni buoni all’interno dell’organismo” al momento giusto e nel posto giusto.
Infine, insieme alla dott.ssa Bruna Marini, lei ha approntato un test (presso la startup Ulisse Biomed di Trieste) per diagnosticare il Papilloma Virus. Un test che si può trovare in farmacia e con cui si può eseguire una immediata autodiagnosi. Un test che, perciò, sa di rivoluzione e che potrebbe aiutare non poco nella prevenzione del cancro della cervice uterina. È corretto? Ci parli di questo progetto e della sua realizzazione.
Finito il dottorato mi sono reso conto che tante cose in scienza e in ricerca rimangono troppo “cartacee”: spesso capita che, in alcuni ambienti scientifici, molte ricerche siano compiute prima di tutto per pubblicare ancor prima che per risolvere un problema. Ma questo ci sta, perché non tutte le ricerche possono essere applicate, esiste anche la ricerca di base ed è molto importante per accrescere la nostra conoscenza su molti fenomeni biologici. Il problema della ricerca di oggi sta nella scarsa riproducibilità scientifica dei dati prodotti.
Questo tema viene preso in esame anche da Nature (VEDI), una delle più prestigiose riviste scientifiche al mondo, dove è pubblicato un articolo nel quale si è dimostrato come circa il 70% delle ricerche scientifiche prese in esame avesse fallito i test di riproducibilità; nonostante ciò sono state pubblicate, diffuse e citate da altri ricercatori come base delle loro nuove ricerche.
Io e la dottoressa Marini abbiamo deciso di provare ad applicare la conoscenza disponibile, traslandola secondo il motto “from the bench to the industry”. Per questo abbiamo scritto diversi progetti e uno di questi era appunto il test del Papilloma Virus. Ci siamo dedicati a questo progetto perché pensavamo che il pap test, nonostante fino ad oggi abbia salvato molte vite, fosse un test da innovare.
L’esito del pap test è operatore-dipendente in quanto le lesioni provocate da HPV sono rilevate da personale altamente specializzato; in questo caso l’errore umano ha un suo peso. Il pap test, inoltre, è un test abbastanza invasivo e fastidioso, per cui ci siamo accorti che la vera innovazione fosse passare ai test molecolari.
Questi ultimi, però, richiedono spesso un prelievo invasivo e non sempre semplice. Il nostro test, invece, rappresenta una vera e propria eccezione perché non-invasivo. Vi spiego meglio: quello che si fa non è un prelievo di cellule dal tessuto della cervice uterina, ma si analizza direttamente il muco vaginale, assai più semplice da prelevare. Il nostro test non solo dice alla donna se è positiva o negativa (presenza o assenza del Papilloma Virus), ma fornisce anche informazioni in più riguardanti il ceppo virale (genotipo). In pratica è in grado di dare un nome e un cognome a tutte le 14 varianti deli HPV ad alto rischio oncogeno.
E il programma di screening nazionale? E il vaccino?
Premetto che io e Bruna siamo pro-vaccinazione, ma va specificato che l’ultimo vaccino contro HPV mira a prevenire l’infezione dei 7 tipi di HPV ad alto rischio più frequenti (più due a basso rischio = nonavalente); quindi non protegge su tutti i 14 genotipi di HPV ad alto rischio. E’ importante vaccinarsi quindi, ma anche controllarsi.
A livello italiano abbiamo notato che alcune regioni hanno una bassa adesione allo screening nazionale, si arriva ad avere anche il 70% delle donne che non si presentano al richiamo pubblico (VEDI). I motivi per questa scarsa aderenza sono molteplici: lavoro poco flessibile, scomodità relative all’attesa e al traffico, il timore di eventuali fastidi dovuti alla procedura e all’esito dell’esame, ecc. Queste situazioni sono tutte evitabili con il nostro auto-test “Ladymed”, il quale può esser effettuato nella comodità di casa propria in maniera non invasiva ed indolore e in qualsiasi momento della giornata.
Il test è stato clinicamente validato con istituti di eccellenza quali il centro di riferimento oncologico di Aviano, l’azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste e il Policlinico Universitario Campus Biomedico di Roma.
Cosa si prova ad essere entrato, di fatto, tra le eccellenze italiane?
Si prova una grande soddisfazione. Si sente di dare una continuità ad una cultura italiana che ha in sé una fortissima tradizione di scienza, di innovazione e di arte. Io sono sempre stato infastidito dal concetto “l’erba del vicino è sempre più verde”. Spesso mi raffronto con una realtà italiana troppo esterofila, che non agisce in modalità critico-costruttiva, ma che anzi reputa migliore ogni cosa prodotta o condotta fuori dall’Italia.
Dal mio punto di vista, invece, non dobbiamo dimenticare che il nostro paese ha una tradizione relativa all’ innovazione che risale a prima della nascita di Cristo. Gli etruschi sono il popolo che ha inventato l’arco in muratura, ed il P-greco è chiamato anche “costante di Archimede”, sì, proprio Archimede il siciliano, originario di Siracusa. Leonardo Da Vinci, forse il più grande genio al mondo, era di vicino Firenze. Potrei continuare a parlarvi di Galileo, Golgi, Marconi, Meucci, Fermi, Majorana… Ci si potrebbe scrivere un libro.
Abbiamo avuto una schiera di scienziati, di innovatori e di artisti che fa invidia a tutto il mondo, 3000 anni di storia legata alla scienza ed all’innovazione. Volete un esempio di innovazione ed eccellenza scientifica più recente, anche prossima a me? Bene, si chiama FERMI, ed è un acceleratore di particelle qui a Trieste.
Fu presentato in Europa il progetto per la costruzione di questa incredibile ed immensa macchina… Alcuni non ci scommettevano un soldo bucato. “Troppo complicato, non riuscirete mai a farlo!” – dicevano. Invece ci siamo riusciti ed il FERMI è unico al mondo; contate che in nord Europa è già qualche anno che provano a farne uno simile e non riescono.
Dobbiamo prendere consapevolezza che questa è una terra dove si può innovare, dove si può stare al passo con il mondo e dove c’è una qualità della vita elevata (in diverse regioni), che non ha nulla da invidiare a molti altri paesi in Europa ed extraeuropei. Se una persona ha una buona idea e sa essere incisiva nella scrittura di progetti scientifici, di business plan per fare startup… Beh, ci sono ottime possibilità di trovare fondi.
Dei nostri cervelli, quelli che “fuggono” all’estero, ne ho trovati pochi schiavizzati in qualche laboratorio: sono spesso in posti manageriali, di responsabilità e ciò significa che possiamo vantare una formazione completa, ampia ed eterogenea. Il laureato o Ph.D Italiano è super apprezzato all’estero, ovunque.
Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo
La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.
Caterina Galletti, Loredana Gamberoni, Giuseppe Marmo, Emma Martellotti | 2017 Maggioli Editore
32.00 € 25.60 €
Immagino che questo non sia il suo unico progetto… Può darci delle anticipazioni circa nuove potenziali “rivoluzioni” a cui sta lavorando?
Abbiamo anche altri progetti, estremamente innovativi. Ad esempio, stiamo lavorando ad un progetto che è ancora in fase di sviluppo e riguarda l’impiego dei nanointerruttori. I prototipi che stiamo testando stanno dando dei risultati molto buoni. Ad oggi, gli unici biosensori elettrochimici conosciuti, amperometrici e non, in grado di dare una risposta in tempo reale riguardo la presenza di piccole molecole sono principalmente quelli per il glucosio (glucometro, HGT) e gli alcol test.
Per il rilevamento dei biomarcatori complessi, però, come DNA, proteine/antigeni o anticorpi, esiste qualche lateral flow test (come quello della gravidanza), ma non esiste nulla di simile ad un glucometro per effettuare la diagnosi.
L’obiettivo del nostro lavoro è quello di portare sempre più persone a monitorarsi da sole, in maniera tale che l’aumento della frequenza dei controlli sia funzionale alla riduzione delle patologie o ne limiti i danni.
Alessio Biondino
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