“A Lugano guadagno tre volte quello che guadagnavo a Genova anche se mi trovavo bene nelle strutture dove lavoravo, il costo della vita è molto elevato ma per mentalità, modo di vivere e sicurezza abbiamo deciso con mia moglie di tornare in Svizzera e non tornerò a lavorare in Italia”. Così Mario, 52 anni, infermiere, ha raccontato la sua (VEDI Primocanale), riassumendo il percorso che l’ha portato a lavorare in Svizzera, prima come frontaliere e poi come residente, intervallato da due anni trascorsi a Genova con l’arrivo di sua figlia. Alla fine, però, ha scelto di trasferirsi definitivamente a Lugano.
Gli infermieri rappresentano la categoria sanitaria più incline ad abbandonare il settore pubblico, cercando opportunità nel privato, all’estero o addirittura lasciando la professione. Negli ultimi quattro anni, circa 23mila infermieri hanno rassegnato le dimissioni in Italia, spinti dalla necessità di trovare condizioni lavorative eque e un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata.
“Essere infermiere in Svizzera è meglio, ma non è solo una questione economica“, spiega Mura. “Qui si guadagna di più, è vero, ma il costo della vita è molto alto. In Italia uno stipendio medio da infermiere si aggira sui 1800-2000 euro, mentre in Svizzera si può arrivare anche a 6000 euro. Però, per esempio, io pago 2300 euro al mese per un appartamento di 80 mq in una località vicina a Lugano, perché i prezzi in città sono inaccessibili. A queste spese si aggiungono le utenze e la cassa malati obbligatoria.”
Il lavoro in Svizzera offre anche migliori condizioni: cinque giorni lavorativi, seguiti da uno o due di riposo, con dieci giorni liberi al mese e un’alternanza equilibrata dei fine settimana. “Qui c’è molta più meritocrazia“, aggiunge Mario. “Ogni anno, a gennaio, i salari nel settore sanitario vengono aumentati automaticamente di 190 euro al mese, oltre a un adeguamento al costo della vita. Non servono proteste o scioperi: è tutto stabilito.”
La sanità svizzera, tra le più costose al mondo, si basa su un sistema di assicurazioni. La polizza base copre i ricoveri obbligatori, mentre le polizze complementari includono servizi aggiuntivi, come camere singole o prestazioni domiciliari. Tuttavia, queste assicurazioni sono interamente a carico dei cittadini, e il costo mensile per la famiglia di Mario – composta da lui, la moglie e la figlia – ammonta a 1100 euro. “È un sistema simile a quello americano“, spiega. “Tutti i costi, anche per l’ambulanza, devono essere giustificati e fatturati alla cassa malati.”
Le differenze rispetto all’Italia sono evidenti anche nelle liste d’attesa, praticamente inesistenti in Svizzera grazie a verifiche più rigide sulle prestazioni richieste. Questo porta a una maggiore appropriatezza e a una cultura sanitaria più consapevole.
La Svizzera ha una forte domanda di personale sanitario straniero. “Ci sono molti infermieri portoghesi e bosniaci. I frontalieri, che sono circa 68mila, rappresentano una grande parte della forza lavoro. Lavorare come frontaliere può essere conveniente, ma i tempi di percorrenza, soprattutto nelle ore di punta, possono essere estenuanti.”
Mario ha iniziato la sua carriera in Svizzera come frontaliere, poi si è trasferito a Lugano lavorando nell’ospedale civico. Dopo nove anni, ha lasciato a causa dei turni notturni, scegliendo di dedicarsi all’assistenza domiciliare a Mendrisio, dove il settore è ben organizzato. Successivamente, si è trasferito a Genova per stare vicino ai nonni materni della figlia, lavorando in una Rsa. “Mi trovavo bene, ma io e mia moglie non riuscivamo a riadattarci alla mentalità italiana, probabilmente perché avevamo vissuto troppo tempo all’estero.”
Nel giugno 2024, la famiglia è tornata in Svizzera. “La qualità della vita, la sicurezza e le opportunità per nostra figlia – che al nido impara già tre lingue – sono state decisive.” Mura ora lavora nuovamente nell’assistenza domiciliare.
“Non tornerò a fare l’infermiere in Italia”, conclude. “Il sistema ha troppe carenze: servirebbero più controlli e una burocrazia più snella. I colleghi che conosco sono stressati e sottoposti a turni massacranti, spesso costretti a lavorare doppio. La qualità della vita ne risente enormemente. Certo, a me e a mia moglie manca il calore degli amici, l’atmosfera conviviale, e momenti come l’aperitivo, che qui non fanno parte della cultura.”
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