USA, le infermiere sono a forte rischio di suicidio

Una recente indagine pubblicata su JAMA Psychiatry (VEDI) circa il rischio di suicidio tra il personale sanitario degli Stati Uniti ha prodotto dei risultati davvero inquietanti, che nemmeno gli autori si sarebbero aspettati: le infermiere (donne) avrebbero un rischio di uccidersi ben due volte superiore alla popolazione generale e del 70% in più rispetto al personale medico dello stesso sesso.

La ricerca ha messo insieme, attingendo ai database dei Centers for Disease Control, i dati sui suicidi nella popolazione americana tra il 2007 e il 2018 e ha individuato, tra i 156.000 suicidi riscontrati nella popolazione generale, 857 tra i medici e ben 2.374 tra le infermiere.

I motivi possono essere diversi. Negli ultimi tempi, facendo riferimento all’era pre-pandemia, i sistemi sanitari sono stati duramente messi alla prova dal costante aumento delle malattie croniche che ha determinato una maggiore domanda di assistenza ospedaliera/territoriale; ma che non ha visto affatto un aumento del personale sanitario.

Ne sappiamo qualcosa qui in Italia, ad esempio, dove si parla di una carenza terribile di infermieri da decenni (VEDI) e dove l’altissima età media della popolazione (con l’inevitabile carico di malattie croniche associate) aveva già duramente logorato la tenuta del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Poi è arrivata pure la Covid, che ha fatto letteralmente saltare il banco.

Christopher R. Friese, esperto di gestione e politica sanitaria dell’Università del Michigan, si è così espresso sul problema: “Sono preoccupato per due questioni chiave. In primo luogo, i sistemi sanitari stanno imponendo maggiori richieste a infermieri, medici e altri operatori sanitari. Anche prima di Covid, gli infermieri riferivano notevoli fattori di stress sul posto di lavoro, tra cui riduzione del personale, maggiore complessità dell’assistenza e compiti burocratici aggiuntivi.

In secondo luogo, gli infermieri con cui lavoro abitualmente affrontano sfide ancora più difficili a casa che sono un’ulteriore fonte di stress, come l’assistenza ai bambini o ai genitori. Sommando i fattori di stress sul posto di lavoro a quelli domestici, non sorprende che gli infermieri vengano sopraffatti dai problemi. Temo che senza un’azione concertata le cose potrebbero peggiorare”.

E, con ogni probabilità, sono già molto peggiorate. Già, perché ribadiamo che i dati raccolti fanno riferimento al periodo (2007-2018) pre-pandemia e vi sono tantissimi elementi per ritenere che nel frattempo la situazione sia sensibilmente peggiorata.

Per quale motivo tra gli uomini infermieri il rischio è minore? Per gli autori, che si possono limitare a fare delle ipotesi, non è un caso: il doppio carico di ‘lavoro’ delle donne, solitamente coloro che in famiglia sono più impegnate tra ospedale, casa e figli, potrebbe arrivare a compromettere seriamente la loro salute mentale.

Per ciò che concerne, invece, la differenza sostanziale tra i numeri infermieristici e quelli della categoria medica, gli studiosi non  riescono a darsi delle spiegazioni convincenti. Potrebbe darsi che i servizi di sostegno psicologico destinati ai medici siano migliori rispetto a quelli in atto per gli infermieri. O che la differenza (sostanziale) di stipendio fra le due categorie, consenta alle ‘dottoresse’ di delegare la cura della casa e dei figli.

L’autore principale dello studio, Matthew Davis, (School of Nursing dell’Università del Michigan) ha infatti sottolineato: “Storicamente ci siamo concentrati così tanto sul benessere dei medici che non abbiamo prestato sufficiente attenzione a questa gigantesca forza lavoro che in base ai nostri dati è molto più a rischio”.

Autore: Alessio Biondino

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Alessio Biondino

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