Articolo del Dott. Primo Italo Bertoldi
Laureato Magistrale in Scienze Infermieristiche, Nurse expert in vascular access, istruttore corsi addestramento Picc, posizionatore di cateteri venosi centrali ad inserzione periferica con ecoguida. Esperto nella gestione dei presidi e delle complicanze precoci e tardive. Formatore del personale sanitario preposto all’utilizzo e dei caregivers.
La pandemia dovuta al covid-19 ha comportato la revisione di molti processi decisionali, la riorganizzazione di ospedali e altri centri di cura, modificati nella loro struttura interna per accogliere, secondo percorsi organizzati ad hoc i numerosi pazienti contagiati. Anche per ciò che concerne gli accessi venosi, è stato necessario rivedere i criteri di scelta, di inserzione e mantenimento per tutti i presidi destinati ai pazienti covid.
A questo proposito segnalo e consiglio la lettura di un documento redatto dal GaVeCelt, documento di un gruppo di esperti che ha rimodulato i criteri di scelta e utilizzo proprio a vantaggio di questi pazienti.
Al loro arrivo in ospedale, sarà necessario verificare a quale percorso avviarli in base alla loro situazione clinica. Per coloro che non avranno bisogno del ricovero in terapia intensiva sarà auspicabile pensare all’introduzione di un dispositivo venoso periferico, necessario per idratazione e terapie di supporto, compatibili per composizione chimico fisica e concentrazione con una infusione periferica.
A questo proposito è possibile recuperare in internet delle tabelle con infusioni compatibili. Tra questi naturalmente il posizionamento di un Midline (lunghezza > 15 cm) meglio power injectable e in poliuretano di terza generazione è preferibile. Questo per diversi motivi:
- Hanno una durata più lunga di cannule corte e cannule lunghe, favorendo meno manovre di riposizionamento e quindi di possibili rischi di contagio per il personale;
- Permettono infusioni ad alto flusso;
- Permettono prelievi ematici ripetuti, cosa impossibile nelle cannule corte e ardua nelle cannule lunghe; naturalmente sarà necessario verificare ecograficamente che la punta del dispositivo sia posizionata subito prima del passaggio della vena ascellare sotto la clavicola, per evitare il fenomeno dello schiacciamento;
- Possono essere agevolmente sostituiti su guida con un catetere centrale a inserzione periferica (PICC) se dovesse essere necessario.
Naturalmente si dovrà accertare sempre tramite l’utilizzo degli ultrasuoni il corretto rapporto tra il calibro interno della vena e quello esterno del catetere, che dovrà essere almeno un terzo di quello del vaso. Questo per evitare fenomeni trombotici, aumentati nei pazienti affetti da covid, visto il loro stato di iper coagulabilità per i quali sarà auspicabile un trattamento con eparina a basso peso molecolare, anche in assenza di cateterismo venoso.
E’ necessario ricordare che tutti gli accessi brachiali sono compatibili con l’utilizzo di caschi per CPAP o con le maschere per la ventilazione non invasiva (NIV). Il problema potrebbe insorgere con l’utilizzo di caschi con cinghie strette sotto le ascelle, con compressione delle vene ascellari che può associarsi a edema degli arti, parestesie e aumentato rischio di trombosi da stasi venosa.
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Professione infermiere: alle soglie del XXI secolo
La maggior parte dei libri di storia infermieristica si ferma alla prima metà del ventesimo secolo, trascurando di fatto situazioni, avvenimenti ed episodi accaduti in tempi a noi più vicini; si tratta di una lacuna da colmare perché proprio nel passaggio al nuovo millennio la professione infermieristica italiana ha vissuto una fase cruciale della sua evoluzione, documentata da un’intensa produzione normativa. Infatti, l’evoluzione storica dell’infermieristica in Italia ha subìto un’improvvisa e importante accelerazione a partire dagli anni 90: il passaggio dell’istruzione all’università, l’approvazione del profilo professionale e l’abolizione del mansionario sono soltanto alcuni dei processi e degli avvenimenti che hanno rapidamente cambiato il volto della professione. Ma come si è arrivati a tali risultati? Gli autori sono convinti che per capire la storia non basta interpretare leggi e ordinamenti e per questa ragione hanno voluto esplorare le esperienze di coloro che hanno avuto un ruolo significativo per lo sviluppo della professione infermieristica nel periodo esaminato: rappresentanti di organismi istituzionali e di associazioni, formatori, studiosi di storia della professione, infermieri manager. Il filo conduttore del libro è lo sviluppo del processo di professionalizzazione dell’infermiere. Alcune domande importanti sono gli stessi autori a sollevarle nelle conclusioni. Tra queste, spicca il problema dell’autonomia professionale: essa è sancita sul terreno giuridico dalle norme emanate nel periodo considerato, ma in che misura e in quali forme si realizza nei luoghi di lavoro, nella pratica dei professionisti? E, inoltre, come si riflettono i cambiamenti, di cui gli infermieri sono stati protagonisti, sul sistema sanitario del Paese? Il libro testimonia che la professione è cambiata ed è cresciuta, ma che c’è ancora molto lavoro da fare. Coltivare questa crescita è una responsabilità delle nuove generazioni. Le voci del libro: Odilia D’Avella, Emma Carli, Annalisa Silvestro, Gennaro Roc- co, Stefania Gastaldi, Maria Grazia De Marinis, Paola Binetti, Rosaria Alvaro, Luisa Saiani, Paolo Chiari, Edoardo Manzoni, Paolo Carlo Motta, Duilio Fiorenzo Manara, Barbara Man- giacavalli, Cleopatra Ferri, Daniele Rodriguez, Giannantonio Barbieri, Patrizia Taddia, Teresa Petrangolini, Maria Santina Bonardi, Elio Drigo, Maria Gabriella De Togni, Carla Collicelli, Mario Schiavon, Roberta Mazzoni, Grazia Monti, Maristella Mencucci, Maria Piro, Antonella Santullo. Gli Autori Caterina Galletti, infermiere e pedagogista, corso di laurea magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma.Loredana Gamberoni, infermiere, coordinatore del corso di laurea specialistica/ magistrale dal 2004 al 2012 presso l’Università di Ferrara, sociologo dirigente della formazione aziendale dell’Aou di Ferrara fino al 2010. Attualmente professore a contratto di Sociologia delle reti di comunità all’Università di Ferrara.Giuseppe Marmo, infermiere, coordinatore didattico del corso di laurea specialistica/ magistrale in Scienze infermieristiche e ostetriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede formativa Ospedale Cottolengo di Torino fino al 2016.Emma Martellotti, giornalista, capo Ufficio stampa e comunicazione della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi dal 1992 al 2014.
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Applicazione del PICC nel paziente con Covid-19
Qualora il paziente avesse bisogno di essere ricoverato in terapia intensiva il dispositivo necessario sarà di tipo centrale. Questo perché la situazione clinica richiederà terapie infusionali incompatibili con una via periferica, multiple, ad alto flusso, richiederà l’utilizzo della nutrizione parenterale iperosmolare, sarà necessario un monitoraggio emodinamico e ripetuti prelievi ematici quotidiani. Si potrà quindi scegliere tra PICC, CICC e FICC. E’ oramai largamente condiviso il positivo utilizzo dei PICC in terapia intensiva, soprattutto in poliuretano, a punta aperta, non valvolati e power injectable, possibilmente 5 Fr bilume, o trilume (5 Fr o 6 Fr), per tutta una serie di motivi:
- Il posizionamento di un PICC è totalmente privo di rischi pleuropolmonari che possono aggravare in modo drammatico, fino all’exitus, il paziente già compromesso da una polmonite covid relata;
- Può essere posizionato anche in una posizione diversa da quella supina (semi ortopnoica o ortopnoica) o addirittura con il paziente pronato;
- Consiste in una manovra più sicura per l’operatore rispetto al posizionamento di un CICC, più vicino alle cavità nasali e alla bocca del paziente;
- Lascia libero il distretto cervico toracico rendendo più semplici le manovre di utilizzo di caschi o maschere per la ventilazione assistita;
- Rende più facile la gestione delle linee infusionali anche e soprattutto quando il paziente è pronato;
- Può essere usato in modo più sicuro perché i pazienti con covid sono scoagulati e il PICC ha indicazione anche per questi pazienti, avendo meno rischi di sanguinamento;
- E’sicuramente più indicato per questi pazienti avendo una vita di utilizzo di gran lunga superiore ai CICC, può quindi essere usato anche dopo superata la fase acuta, che si aggira intorno alle tre settimane;
- Il PICC può essere utilizzato sia per la misurazione della pressione venosa centrale che per la misurazione della gittata cardiaca tramite termodiluizione.
I rischi di trombosi tra PICC e CICC nei pazienti in terapia intensiva sono sovrapponibili ed è oramai accertato che questi dipendano dalla tecnica di inserzione.
Nel caso in cui non si possa fare altrimenti, causa controindicazioni specifiche, e la necessità di dover utilizzare più di tre lumi, si procederà al posizionamento di un CICC, tassativamente inserito con ecoguida. Dovendo facilmente utilizzare caschi e maschere per la ventilazione, l’approccio sarà nella vena ascellare, nel tratto pre claveare, del distretto toracico, per una migliore gestione e protezione, nonché una maggiore stabilità dell’exite site del dispositivo.
In questi pazienti si potrà considerare anche l’utilizzo di cateteri centrali a inserzione femorale (FICC), in virtù della ulteriore distanza dalle secrezioni nasali e orali, minimizzando ulteriormente i rischi per gli operatori. Naturalmente il sito di emergenza del catetere dovrà essere spostato a metà coscia tramite tunnellizzazione dopo puntura ecoguidata della vena femorale comune, lontano quindi dalla regione inguinale, utilizzando inoltre una colla in cianoacrilato per sigillare sia il sito di puntura che l’exite site.
Il FICC non potrà essere utilizzato né per la misurazione della PVC, né per la misurazione della gittata cardiaca tramite termodiluizione, ma solo per infusioni e prelievi ematici multipli. La punta del dispositivo sarà quindi posizionata al di sopra delle iliache e al di sotto delle vene renali.
Sui FICC e sui PICC inseriti potrebbero essere sostituiti su guida i cateteri per dialisi ed emodiafiltrazione, cateteri per i quali è indicato un accesso femorale o sopraclaveare.
Ricordiamo che per ogni vaso scelto si dovrà sempre mantenere il rapporto 1:3 tra il calibro del catetere e quello della vena, questo per evitare complicanze il rischio di trombosi, che in questi pazienti, nonostante la anticoagulazione terapeutica, risulta aumentato.
Comunque sarà sempre necessario scegliere il dispositivo centrale riferendosi alle reali necessità del paziente, valutando tra le possibili complicanze, legate al posizionamento e alla successiva gestione del dispositivo.
Non dobbiamo neppure dimenticare che tutti questi presidi dovrebbero essere posizionati da personale infermieristico e medico adeguatamente addestrato.
L’utilizzo degli ultrasuoni per la puntura ecoguidata
Tutti i cateteri di cui abbiamo parlato finora, devono essere posizionati, così come raccomandano tutte le linee guida internazionali, tramite l’utilizzo degli ultrasuoni per mezzo di una puntura ecoguidata. Questo per permettere la scelta della vena più appropriata in termini di grandezza, di eseguire la venipuntura nella massima sicurezza, evitando gravi complicanze per il paziente. Con i pazienti covid, naturalmente si dovrebbe usare un ecografo dedicato, che dovrebbe essere adeguatamente disinfettato dopo ogni manovra. L’ideale sarebbe avere a disposizione una sonda wireless, per il minor rischio di contaminazione. Queste sonde possono essere utilizzate con un display dedicato che può essere uno smartphone o un tablet, dispositivi facilmente sanificabili. La sonda sarà posizionata in un coprisonda sterile mentre il display in un involucro trasparente non sterile, entrambi facilmente eliminabili dopo la manovra. Anche le manovre di disinfezione, su questi presidi saranno più semplici e immediate.
L’utilizzo degli ultrasuoni per la puntura ecoguidata riguarda anche la incannulazione delle arterie periferiche, necessaria per la misurazione continua della pressione arteriosa, per la esecuzione di esami emogasanalitici e di frequenti prelievi ematici, tutti parametri fondamentali nei pazienti covid; utilizzo fortemente raccomandato tra le altre, dalla Società Europea di Anestesiologia.
In questi pazienti è di gran lunga preferibile NON utilizzare controlli radiologici per la cosidetta “tip location” (localizzazione della punta) dei dispositivi impiantati, questo naturalmente sia che si trasporti il paziente in radiologia o che si esegua l’esame a letto. Questo per evitare l’aumentato rischio di contaminazione da parte del personale e dei macchinari. E’ ormai diverso tempo che le numerose linee guida, riguardanti gli accessi venosi, fanno riferimento ad altri sistemi per il controllo della punta del dispositivo, perché molto più accurati, costo efficaci e sicuri ed eseguibili al letto del paziente.
I sistemi più diffusi sono la elettrocardiografia intracavitaria (IC-ECG) e la ecocardiografia trans-toracica (TTE). Questi sistemi dovrebbero essere usati con qualunque paziente, tassativamente con i pazienti covid. L’elettrocardiogramma intracavitario intraprocedurale dà in real time la corretta posizione del dispositivo mediante la valutazione della massima variazione in ampiezza dell’onda P del tracciato, e la ecocardiografia transtoracica intraprocedurale, tramite sonde wireless con trasduttori convex, microconvex o settoriali permette, utilizzando il bubble test (ceus: contrast enhanced ultrasonography) ossia l’infusione rapida di soluzione fisiologica addizionata a microbolle di aria all’interno del catetere, con visualizzazione diretta dell’infusione tramite posizionamento del trasduttore in regione sotto xifoidea o apicale.
La corretta posizione sarà valutata mediante il tempo di intercorrenza tra la rapida immissione in circolo della soluzione con aria, e la visualizzazione diretta su schermo (che dovrà essere quasi istantanea). Nel caso fosse stato posizionato un CICC, dovrebbe essere esclusa la possibilità di un pneumotorace, e per questo si potrà evitare la radiografia del torace nei pazienti covid, per i motivi di sicurezza esposti sopra, eseguendo una ecografia toracica che andrà a visualizzare il movimento pleurico nello spazio omonimo. Numerosi studi hanno ormai dimostrato la superiorità di questa indagine rispetto all’utilizzo dei raggi x.
Guida al monitoraggio in Area Critica
Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere qualunque sia l’area intensiva in cui opera.Non può esistere area critica senza monitoraggio intensivo, che non serve tanto per curare quanto per fornire indicazioni necessarie ad agevolare la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica, perché rilevando continuamente i dati si possono ridurre rischi o complicanze cliniche.Il monitoraggio intensivo, spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per infermieri e medici nella cura dei loro malati. La letteratura conferma infatti che gli eventi avversi, persino il peggiore e infausto, l’arresto cardiocircolatorio, non sono improvvisi ma solitamente vengono preannunciati dal peggioramento dei parametri vitali fin dalle 6-8 ore precedenti.Il monitoraggio è quindi l’attività “salvavita” che permette di fare la differenza nel riconoscere precocemente l’evento avverso e migliorare i risultati finali in termini di morbilità e mortalità.Riconosciuto come fondamentale, in questo contesto, il ruolo dell’infermiere, per precisione, accuratezza, abilità nell’uso della strumentazione, conoscenza e interpretazione dei parametri rilevati, questo volume è rivolto al professionista esperto, che mette alla prova nelle sue conoscenze e aggiorna nel suo lavoro quotidiano, fornendo interessanti spunti di riflessione, ma anche al “novizio”, a cui permette di comprendere e di utilizzare al meglio le modalità di monitoraggio. A cura di:Gian Domenico Giusti, Infermiere presso Azienda Ospedaliero Universitaria di Perugia in UTI (Unità di Terapia Intensiva). Dottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche. Master I livello in Infermieristica in anestesia e terapia intensiva. Professore a contratto Università degli Studi di Perugia. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane ed internazionali. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.Maria Benetton, Infermiera presso Azienda ULSS 9 di Treviso. Tutor Corso di laurea in Infermieristica e Professore a contratto Università degli Studi di Padova. Direttore della rivista “SCENARIO. Il nursing nella sopravvivenza”. Autore di numerose pubblicazioni su riviste italiane. Membro del Comitato Direttivo Aniarti.
a cura di Gian Domenico Giusti e Maria Benetton | 2015 Maggioli Editore
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Nei pazienti covid una delle manovre più delicate è quella della prono supinazione del paziente stesso. Grande attenzione deve essere mantenuta nei confronti dei dispositivi vascolari utilizzati per le numerose terapie endovenose di questi pazienti, per prevenire che questi si dislochino o addirittura si rimuovano accidentalmente, con conseguenze anche gravi. Incontro a questa necessità viene incontro la tecnologia che ci fornisce la possibilità di utilizzare i sistemi di fissaggio sottocutaneo (securAcath)che renderanno più saldo il dispositivo e meno probabile la dislocazione.
Non vogliamo dimenticare inoltre l’utilizzo della colla in cianoacrilato per sigillare l’exite site, al fine di evitare fastidiosi sanguinamenti, che comporterebbero medicazioni più frequenti di una volta alla settimana e aumentato rischio per il personale, l’utilizzo dei feltrini a lento rilascio di clorexidina al 2% per garantire una ulteriore attenzione nel prevenire le infezioni catetere relate, l’utilizzo infine di membrane trasparenti, sterili con un alto MVTR (moisture vapor transmission rate-alto valore di traspirabilità) per chiudere la medicazione. A questo proposito desidero spendere altre due parole per una non frequente evenienza come la MARSI (medical adhesive related skin injury) lesione della cute del paziente dovuta a una reazione topica nei confronti delle sostanze contenute all’interno del collante delle membrane adesive trasparenti. Queste reazioni possono oggettivarsi in diversi modi dalla eruzione dolorosa alla formazione di vescicole, fino allo strappo dello strato più superficiale della cute.
Già dopo la prima medicazione potrebbe essere possibile rinvenire nel paziente segni che possono far pensare ad una sensibilità particolare del paziente verso queste medicazioni, quindi dopo aver medicato l’exite site con clorexidina al 2%, utilizzare il sistema di fissaggio sottocutaneo se non lo si è fatto in precedenza e spruzzare sulla cute una protezione al poliuretano a formare un film sul quale sarà poi possibile far aderire la nuova membrana adesiva.
Nel terminare mi preme sottolineare quanto sia importante l’aderenza a tutte le raccomandazioni in termini di protezione individuale e di barriera, come indicano tutte le linee guida internazionali, l’utilizzo di precisi bundles durante l’impianto così come durante la gestione dei dispositivi e delle linee infusionali, di bundles per le medicazioni. Purtroppo in molte realtà del nostro paese si assiste ancora, per difficoltà di varia natura a una mancata aderenza a queste indicazioni e questo comporta un aumentato rischio per il personale e soprattutto per i pazienti. La tragica evenienza sanitaria in cui ci troviamo ci deve necessariamente far riflettere e rivedere tanti nostri atteggiamenti e convinzioni, e speriamo che ci possa condurre verso una nuova dimensione degli accessi venosi molto più vicina ai pazienti e più garante della costo efficacia delle soluzioni possibili.
SI PUO’FARE.
Dott. Primo Italo Bertoldi
Bibliografia:
- Scoppettuolo G, Biasucci DG, Pittiruti M: Vascular access in COVID-19 patients: smart decisions for maximal safety. J Vasc Access. 2020; in press.
- Tabella farmaci per infusione. Sito web del GAVeCeLT. https://www.gavecelt.it/nuovo/sites/default/files/uploads/lista_farmaci_per_infusione.pdf
- Qin KR, Nataraja RM, Pacilli M. Long peripheral catheters: Is it time to address the confusion J Vasc Access. 2019; Vol. 20(5) 457–460.
- Elli S, Pittiruti M, Pigozzo V, et al. Ultrasound-guided tip location of midline catheters. J Vasc Access. 2020 Feb 28. doi: 10.1177/1129729820907250.
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- Buone pratiche cliniche SIAARTI: Le buone pratiche per gli accessi vascolari. Sito Web della SIAARTI. https://www.siaarti.it/standardclinici/Buone%20Pratiche%20Cliniche%20SIAARTI%20- %20Accessi%20Vascolari%201.2.pdf
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Leggi anche:
https://www.dimensioneinfermiere.it/cateteri-picc-inserzione-ecoguidata-gestione-infermieristica/
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