Vent’anni di OSS in Sanità: fondamentale la valorizzazione del ruolo

IL 22 Febbraio è ormai alle porte e per gli operatori socio sanitari d’Italia segna una data importante, ovvero: venti anni di presenza nel servizio socio sanitario italiano. Venti anni trascorsi tra reparti ospedalieri, RSA, case di riposo dove, scusate se è poco: è il protagonista assoluto

Ma in questi anni l’Oss è entrato a pieno merito anche nell’assistenza domiciliare, attraverso i servizi territoriali e ancora, all’interno dei penitenziari o nelle scuole, tramite dei servizi sociali comunali e territoriali.

Una presenza conclamata ormai, un compagno importante di viaggio per infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e tante altre figure professionali del servizio sanitario e sociale nazionale. Una figura di cui non si può fare più a meno, ma che necessita ancora di una notevole integrazione professionale e soprattutto di quella stima dal mondo esterno che purtroppo, sembra proprio non arrivare mai.

In questo tempo trascorso ci sono stati momenti che sembravano voler portare grandi novità per l’OSS. Nel 2003 infatti, si pensò ad una formazione complementare, quella che avrebbe portato all’acquisizione di nuove competenze e di riflesso ad ampliare il mansionario di questa figura, portandolo effettivamente a un livello superiore di professionalità; la cosa fu molto interessante, in particolare per il fatto che l’infermiere generico stava diventando una figura ormai in via d’estinzione e l’OSS con formazione complementare, avrebbe dovuto proprio sostituirlo attraverso un mansionario ben più completo e adeguato alle nuove esigenze assistenziali.

Si pensò dunque, che attraverso l’Osss si avrebbe potuto costruire un nuovo modello, andando indubbiamente ad ampliare i margini di tempo a disposizione dell’infermiere con una maggiore possibilità per quest’ultimo, di potersi dedicare all’assistenza infermieristica, in maniera molto più adeguata. 

Purtroppo, di tempo ne è passato, eppure, quegli attestati conseguiti con tanta fatica, sono rimasti nel cassetto in quanto tutto si è dissolto nell’aria come bolle di sapone.

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Una luce soffusa si accese con la legge Lorenzin che intendeva introdurre l’OSS nell’area sociosanitaria, una collocazione che fondamentalmente sarebbe stata naturale considerando l’ambito di operatività di questa figura, ma anche questa volta quella luce fioca si è spenta subito, lasciando cadere nel dimenticatoio la possibilità di trasformare effettivamente l’OSS in un professionista diverso.

In effetti, la prima grande evoluzione sarebbe stata quella formativa, portando alla costruzione di un operatore con mansioni e competenze più omogenee a livello nazionale, ma avrebbe rappresentato anche il lascia passare per giungere a un inquadramento economico e contrattuale totalmente diverso.

Purtroppo, è mancata la volontà politica, ma ha influito a mio avviso notevolmente anche l’incapacità della categoria che non ha saputo reagire, non ha saputo associarsi e chiedere ai sindacati la giusta e dovuta rappresentanza. 

Intanto ad oggi, siamo ancora in alto mare, senza alcun riconoscimento ne morale, ne normativo-contrattualistico, troppo ignoti, basta guardare i telegiornali che in questa epoca di COVID nominano tutti i professionisti ma gli OSS proprio non si conosconoNonostante in tanti hanno perso la vita in questo periodo, lottando fianco a fianco con tutti gli altri, siamo praticamente sconosciuti.

L’augurio per il futuro dunque, è una maggiore capacità da parte della categoria a non frammentarsi, ad essere uniti e in particolare mi auguro che i sindacati confederali incomincino a capire che l’OSS ormai fa parte di un processo operativo per il quale non si può fare a meno e che ha bisogno di rappresentanza, non solo per la sua crescita professionale, ma per un miglioramento del servizio al cittadino in particolar modo.

Autore: Alessandro Salerno (profilo Facebook)

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